Un articolo su The Lancet (ottobre 2025) analizza l’evoluzione delle rappresentazioni cinematografiche dell’eutanasia e dell’invecchiamento nel corso di oltre mezzo secolo. Ne sono autori Neasa Fitzpatrick e Desmond O’Neill, medici geriatri e studiosi di medical humanities.
L’analisi parte da film di fantascienza degli anni 70 come Logan’s Run (1976). L’eutanasia era inquadrata come una ‘soluzione’ estrema alle paure sociali associate alla sovrappopolazione e all’invecchiamento. L’idea disturbante era di eliminare una popolazione selezionata per mantenere un equilibrio ecologico.
Con l’ascesa del neoliberismo e dell’individualismo, secondo gli autori il racconto cinematografico diventa più intimista. L’attenzione si sposta sulla fatica e sull’amore del prendersi cura, o sulla decisione individuale di convivere (o meno) con una malattia invalidante. Amour di Michael Haneke, Million Dollar Baby di Clint Eastwood o Everything Went Fine di François Ozon raccontano questa trasformazione, intrecciando libertà personale, dipendenza e paura della perdita di autonomia.
L’articolo sottolinea che questa estetica della “uscita dignitosa” può oscurare un nodo cruciale: la mancanza di una vera cultura della cura. L’eutanasia riscia di essere percepita come alternativa alla responsabilità collettiva di garantire assistenza, relazioni e qualità della vita.
Il cinema, concludono gli autori, continua a riflettere una paura profonda: non il morire, ma l’invecchiare in un mondo che non sa più prendersi cura.
Il link: The Lancet, “Cinematic portrayals of euthanasia and ageing across the decades”, Vol. 406, 25 ottobre 2025.
