IL CORPO ALLA PROVA DELLA SEMIOTICA. LA SEMIOTICA ALLA PROVA DEL CORPO. Sei incontri seminariali presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze della Formazione dell’Università di Torino. Dal 4 febbraio al 21 maggio 2026. Su testi, autori e temi di grande rilievo: l’efficacia simbolica in Lévi-Strauss (con Carlo Severi); il sintomo e il suo statuto semiotico in Barthes, Bauer e Sebeok; Il disagio in Fontanille; Judith Butler; Gianfranco Marrone; Claudio Paolucci (su Nati Cyborg).
Il titolo condensa la reciprocità inesauribile della sfida euristica tra corpo e semiotica.
Referente: Lexia, la rivista internazionale del Centro Interdisciplinare di Ricerca sulla Comunicazione (CIRCe), diretta da Ugo Volli, con Massimo Leone come coordinatore redazionale. Peer-reviewed (come si fa ad avere il coraggio di non esserlo?). Fertile e a volte ironico sarebbe il confronto con la serie precedente del 1993-1998.
Incontri in presenza e in streaming (via webex). Programma e altri dettagli qui: https://lexia.to.it/seminari-di-semiotica-2/

Un articolo su The Lancet (ottobre 2025) analizza l’evoluzione delle rappresentazioni cinematografiche dell’eutanasia e dell’invecchiamento nel corso di oltre mezzo secolo. Ne sono autori Neasa Fitzpatrick e Desmond O’Neill, medici geriatri e studiosi di medical humanities.
L’analisi parte da film di fantascienza degli anni 70 come Logan’s Run (1976). L’eutanasia era inquadrata come una ‘soluzione’ estrema alle paure sociali associate alla sovrappopolazione e all’invecchiamento. L’idea disturbante era di eliminare una popolazione selezionata per mantenere un equilibrio ecologico.
Con l’ascesa del neoliberismo e dell’individualismo, secondo gli autori il racconto cinematografico diventa più intimista. L’attenzione si sposta sulla fatica e sull’amore del prendersi cura, o sulla decisione individuale di convivere (o meno) con una malattia invalidante. Amour di Michael Haneke, Million Dollar Baby di Clint Eastwood o Everything Went Fine di François Ozon raccontano questa trasformazione, intrecciando libertà personale, dipendenza e paura della perdita di autonomia.
L’articolo sottolinea che questa estetica della “uscita dignitosa” può oscurare un nodo cruciale: la mancanza di una vera cultura della cura. L’eutanasia riscia di essere percepita come alternativa alla responsabilità collettiva di garantire assistenza, relazioni e qualità della vita.
Il cinema, concludono gli autori, continua a riflettere una paura profonda: non il morire, ma l’invecchiare in un mondo che non sa più prendersi cura.
Il link: The Lancet, “Cinematic portrayals of euthanasia and ageing across the decades”, Vol. 406, 25 ottobre 2025.


La bravissima performer artist e docente Marta Jovanovic organizza anche quest’anno il consueto Performance Cluster del Dipartimento di Arti Visive del RUFA-Rome University of Fine Arts, in collaborazione con Elise Morrison e con la Yale University.
Il tema è cruciale per tutti noi, e sta già tutto nel titolo del libro di Elise Morrison (Discipline and Desire: Surveillance Technologies in Performance Art, 2016).
5 giorni di performance di 9 artiste internazionali. Al centro una domanda esigente. Come possono le artiste incrinare e ripensare le strutture dominanti della disciplina e del desiderio? In che modo le tecnologie di sorveglianza possono diventare strumenti di comunicazione reciproca, invece che di controllo unilaterale?
Attraverso azioni sospese tra rischio e libertà, queste donne trasformano le tecnologie che ci osservano in strumenti artistici paradossali percorsi da un dubbio ironico: chi sorveglia chi?
La presentazione e il programma qui: https://www.unirufa.it/eventi/performance-cluster-2025-discipline-desire-surveillance/
1-5 ottobre, MAXXI Corner, Via Guido Reni, Roma. Ingresso libero.
La paranoia come modalità euristica, il discorso paranoico come struttura delle ideologie e la folie à plusieurs come dimensione costitutiva del sociale.
Di questo si parlerà in un incontro organizzato dalla rivista IL CORPO al Castello di Rocca Sinibalda il 26-28 settembre.
Incontro ristretto e ‘ibrido’ costruito sulla contaminazione tra approcci diversi praticata da partecipanti portatori ciascuno di approcci e modelli euristici a loro volta ‘ibridi’.
Su invito.
Qualche info sui contenuti dell’incontro: https://www.ilcorpo.com/diario-paranoico/un-appunto-di-lavoro-per-alcuni-workshop-residenziali-sul-discorso-paranoico/

A Roma, il 9 ottobre. Il 3° incontro di Ospitare lo straniero-vicino”. Nuove frontiere cliniche sul corpo in adolescenza in ottica winnicottiana.
Alessandra LEMMA (British Psychoanalytical Society) presenterà un suo lavoro inedito: Sul non avere tutto: esplorare l’uso feticistico delle donne trans da parte degli uomini eterosessuali. Discussant Anna Maria NICOLO’ (SPI). Introduzione di Laura ACCETTI (SPI).
Un tema bello, un ciclo dal titolo potente, relatrice e discussants che non hanno certo bisogno di presentazione, un fantasma
PMSR significa Post Mortem Sperm Retrieval, ovvero recuperare lo sperma dal cadavere del maschio morto.
La procedura è tecnicamente possibile da tempo. Dopo il 7 ottobre è stata perfezionata in Israele con i corpi dei giovani e mediamente giovani soldati dell’esercito israeliano morti in quest’ultima guerra. Il corpo viene portato con la massima rapidità possibile verso uno dei quattro ospedali in grado di gestire la procedura. Qui viene verificata l’integrità dei genitali. Un primo prelievo cerca lo sperma presente nei testicoli per valutare qualità, numerosità e motilità degli spermatozoi. Se i parametri e altri controlli più generali sul cadavere sono positivi, si estrae in vario modo il maggior numero possibile di spermatozoi dai testicoli: apertura chirurgica, spremitura, tritatura con leggera centrifuga, drenaggio e lavaggio, ecc. Il liquido ottenuto viene surgelato a -193°C, e conservato nella più grande banca spermatica di Israele, il Sourasky Medical Center di Tel Aviv.
Tutto avviene adesso sotto la gestione e responsabilità diretta del Ministero della Sanità, sostituitosi via via alle strutture private nate nel tempo. Prima solo sperimentale, questa prassi ha avuto un incremento impressionante dal 7 ottobre, con oltre 172 ‘recuperi’ effettuati. Attualmente viene offerta di routine per tutti i soldati maschi morti con cadaveri compatibili con il prelievo: circa il 30%. Da eccezione a policy.
L’obiettivo funzionale dichiarato è l’uso di questo sperma per la fecondazione,
ANTONELLA SALOMONI, Lenin a pezzi. Distruggere e trasformare il passato, Bologna, Il Mulino, 2024
Les statues meurent aussi. Così Chris Marker e Alain Resnais titolavano all’inizio degli anni 50 il loro documentario anticoloniale sull’arte africana, bloccato dalla censura per quasi un decennio.
Anche le statue di Lenin muoiono, racconta la storica Antonella Salomoni. Il punto di partenza è la frattura politica, simbolica e immaginaria introdotta dalla sua morte. Gravemente invalido da anni, ormai isolato nella sua dacia a Gorki, Lenin rimaneva ancora il padre fondatore dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, il fil rouge fantasmatico che ancorava il nuovo stato socialista alla élite prerivoluzionaria poi bolscevica. La sua scomparsa rischiava di far esplodere le tensioni e i conflitti già evidenti all’interno del gruppo dirigente del PCR(b) poi PCU(b). Il vuoto aperto nell’immaginario collettivo di una società appena uscita da una guerra civile e lacerata da mille fattori diversi riapriva spinte disgregative che la prudenza della NEP non bastava a mitigare.
Così Lenin morto non poteva morire. Salomoni ricostruisce il con testo, le matrici prerivoluzionarie e i tentativi bolscevichi di inventare memoria, persistenza ed ‘eroi’ esemplari alla liquefazione sociale introdotta dalla rivoluzione. Lo stesso Lenin aveva proposto una strategia di “propaganda con i monumenti” per introdurre in gran fretta forme di persistenza nella ‘catastrofe’ (come da teoria delle catastrofi) rivoluzionaria. Questa stessa ‘propaganda’ investe ora il suo propugnatore. Lenin deve diventare monumento.
Un doppio monumento. Il corpo morto deve trascendere la morte diventando reliquia integrale e dinamica.
Iniziamo da un brano che esprime, con notevole potenza espressiva e con ricchezza di dettagli, lo statuto ambiguo della pelle: confine labile e perturbante fra interno ed esterno del corpo. È un brano tratto dalla sontuosa epopea biblica di Thomas Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, e si riferisce al protagonista nella sua fase di adolescente, altra posizione liminale:
Creature come te sono un inganno fugacemente splendente sull’orrore che si nasconde sotto la superficie di ogni carne. Ma nemmeno la pelle, questo involucro (Haut und Hülle), con le esalazioni dei suoi pori, con il sudore dei suoi peli, è cosa davvero molto appetitosa: basta che tu la scalfisca un poco, e subito ne schizza fuori la broda salata, di un rosso provocante, e più si penetra nell’interno e più cresce il disgusto e non c’è altro che budellame e puzza (Gekröse und Gestank). Ciò che è bello e leggiadro dovrebbe essere bello e leggiadro anche all’interno, e solido e di nobile materia, non ripieno di viscidume e sozzura (…). Allora ti devi contentare di immagini…O la vita è un inganno, o lo è la bellezza. Tutt’e due unite non le puoi trovare nella realtà.
Risuona in questo brano la visione apollinea che vuole mantenere il più possibile integro e incontaminato il confine della pelle; è l’estetica neoclassica di Winckelmann che prediligeva infatti i corpi di efebi e an- drogini, e che impronta un celebre capolavoro di Mann, La morte a Venezia. Questa visione ha numerose rifrazioni nel costume e nella moda contemporanei, se si pensa alla pratica sempre più diffusa della depi- lazione maschile, o, nell’ambito dell’immaginario gay, alla figura molto amata del twink, dal corpo glabro e adolescenziale, anche se non manca una corrente opposta, che valorizza all’estremo il pelo, quella degli orsi. Thomas Mann era profondamente attratto dal mondo di Dioniso, che prevede nei suoi riti lo smembramento dell’unità del corpo (lo sparag- mos), e quindi anche la violazione del confine della pelle. Questo è mol- to chiaro nel sogno di Gustav von Aschenbach ne La morte a Venezia, in cui l’orgia e il rito dionisiaco annullano tutti i confini fra io e gruppo, gioventù e vecchiaia, individuale e sociale; la pelle viene forata e leccata prima che la violenza della lacerazione si sposti sul mondo animale:
Erano fuori di sé, avevano la schiuma alle labbra, si eccitavano a vicenda toccandosi con gesti erotici, fra risa e gemiti; si conficcavano a vicenda i pungoli nella carne, e leccavano il sangue dalle membra (stießen die Sta- chelstäbe einanander ins Fleisch und leckten das Blut von den Gliedern). Ma ormai il sognatore era con loro, in loro, e apparteneva al dio straniero. Sì, erano lui stesso quando si scagliarono sugli animali per dilaniarli e ucciderli, e ne divorarono pezzi fumanti; e quando sul suolo muschioso e scompigliato iniziò, come offerta al dio, un’unione sessuale priva di limiti. E la sua anima assaporò il piacere e il furore del decadimento.
Anche in Giuseppe e i suoi fratelli compare il momento distruttivo: Giu-seppe viene violentemente aggredito dai suoi fratelli, e la sua pelle splen- dida e sgargiante viene violata, tagliata, ricoperta di sangue:
Giaceva sulle braccia legate, la nuca affondata nell’erba, le ginocchia sol- levate, le costole che si alzavano e abbassavano rapidamente, tutto pesto e contuso. Sul corpo, che la rabbia dei fratelli aveva coperto di bava e su cui si appiccicavano musco e polvere, scorreva in rivoli serpeggianti il rosso succo che sgorga dalla bellezza quando se ne ferisce la superficie (der rote Saft, der der Schönheit entquillt, wenn man ihre Oberfläche verletztz). L’occhio non ammaccato cercava pieno di terrore i suoi assassini, e ogni tanto si chiudeva convulsamente.
Thomas Mann ci permette dunque di individuare due modelli opposti con cui viene tematizzata la pelle, che hanno come paradigma mitico l’ambivalenza di Dioniso fra creazione e distruzione: