a cura di Cristina Cenci e Martina Giorgi
Milioni di video e foto online alimentano la riproduzione digitale permanente e quotidiana dei nostri corpi. C’è una zona d’ombra però in questa trasparenza iconica che ci racconta ogni giorno: manca ciò che siamo sotto la pelle.
Ma siamo qualcosa sotto la pelle? C’è ancora un’identità nella radiografia?
Tra controlli programmati, gambe e braccia rotte, patologie più o meno gravi, ognuno di noi colleziona un discreto numero di rappresentazioni del corpo sotto la pelle.Dove finiscono?
Anche il consumismo dilagante e opprimente di immaginario digitale sembra indifferente alla nostra radiografia. Fa forse eccezione l’ecografia delle future mamme, che circola sempre di più su facebook, da quella delle star alle più comuni primipare attempate e non. Ma in quel caso non è un sotto la pelle, è un “dentro” carico di senso e di vita, una nuova identità che si forma.
Radiografie ed ecografie sembrano considerate oggetti separati dal sé e classificati come proprietà del medico e della medicina. Vengono conservate perché serviranno per la prossima visita e non perché ci raccontano.
Dice Behrens a Joachin, nella Montagna Incantata di Mann durante una delle prime radiografie: “E non mi venga a dire che è stanco! Le daremo una copia in omaggio con la quale potrà proiettare sul muro i segreti del suo petto fino ai figli e ai nipoti”! Sono gli inizi del '900 e la possibilità di mostrare e riprodurre l’interno del corpo suscita stupore e pudore al tempo stesso.
In un saggio sulla valenza terapeutica dell’esperienza estetica Margitta Zimmermann racconta il caso di Madame Florentine, un’impiegata di 42 anni, licenziata da poco, che soffre da tempo di forti dolori al basso ventre e di perdite emorragiche. La radiografia mostra un utero ipertrofico, ma non si capiscono le cause del malessere. Tornata a casa dopo la visita, scoraggiata, Madame Florentine si ritrova a guardare e a toccare le sue radiografie e a rendersi conto per la prima volta che mostrano “il suo ventre”, qualcosa di lei, interno a lei. La “visione” scatena un flusso di ricordi e progressivamente Madame Florentine si appropria del suo utero: da organo nemico e alieno, fonte di dolore, a icona/traccia della sua storia e della sua emotività. Per la prima volta Madame Florentine trova il suo utero bello e decide di incorniciarlo e appenderlo nella sua stanza da letto, premiandolo con una cornice che apparteneva ad un ritratto del padre, in un processo di doppia investitura simbolica, identitaria e terapeutica.
Madame Florentine è un caso isolato che ci aiuta a non considerare ovvio l’anonimato identitario attribuito al sotto la pelle. Prima della sua riproduzione oggettiva e scientifica, il sotto la pelle è stato invece portatore di significati, simboli, valori in linea con l’immaginario collettivo ed estetico delle diverse epoche e culture.
La galleria raccoglie un insieme di rappresentazioni anatomiche dalla preistoria agli inizi del ‘900, mostrando l’interconnessione e talvolta la sovrapposizione tra la rappresentazione anatomica del corpo e la rappresentazione artistica, tra la rappresentazione medica e l’icona religiosa. Il corpo anatomico, il corpo sotto la pelle non è un’entità anonima, impersonale, asettica, isolata. E’ una presenza in un paesaggio, è il sotto di un volto, è la reliquia potente di un santo scorticato. E’ parte di un contesto che lo significa. In alcune rappresentazioni, solo il sotto la pelle rivela l'autenticità del corpo e del soggetto. La pelle è schermo, ostacolo da rimuovere.
Le immagini selezionate non mirano a ricostruire in modo esaustivo le diverse modalità di rappresentare il sotto la pelle ma a mostrarci che può essere raccontato con frame diversi da quelli medico/scientifici che sembrano essere egemoni nel contemporaneo. Questo percorso non segue unicamente una traiettoria diacronica e non si limita ad una prospettiva eurocentrica, ma guarda anche ad Oriente, alle illustrazioni anatomiche persiane, indiane, cinesi e giapponesi, scoprendo analogie inattese.
Nel medioevo e nell’età moderna gli anatomisti e gli artisti con cui collaboravano nella produzione dei volumi utilizzavano iconografie diffuse, inserendo scheletri, cadaveri e tavoli dissettori in paesaggi arcadici, fra elementi architettonici classici ed elementi mitologici. I frontespizi dei trattati anatomici diventano la sinossi visiva di questa ibridazione tra interno del corpo e contesto.
Nel Cinquecento l'Accademia fiorentina delle Arti del Disegno è la prima scuola a introdurre la lezione di anatomia come materia obbligatoria per gli artisti, sancendo così lo stretto nesso fra arte e medicina.
Già dalla fine del XVII secolo gli anatomisti cominciano ad eliminare gli elementi immaginativi dalle illustrazioni mediche, per non “alterare” il valore scientifico delle loro opere con metafore visive, posture insolite o riferimenti cristiani. E’ nell’Ottocento che si consolida la sottrazione del sotto la pelle all’immaginario e la sua riduzione scientifica a scheletro asettico. Le immagini fantastiche del corpo umano diventano “solo” artistiche.
Incorniciare la radiografia, sottrarla allacartella medica, così come nel passato gli anatomisti arricchivano lo scheletro con paesaggi, ornamenti, volti potrebbe essere uno stimolo anche per nuovi percorsi di cura. Lo dimostra l'esperimento artistico e personale di Salvatore Iaconesi che ha condiviso online la cartella clinica e le risonanze magnetiche che mostrano il suo tumore al cervello. L'appropriazione e la condivisione del sotto la pelle come strumento per una nuova percezione dello schema corporeo e una nuova modalità di confrontarsi con la malattia e la cura.