Albrecht Dürer, Le Quattro Streghe (1497)

La Strega è nuda.

Nella Villa dei Misteri a Pompei è rappresentata l’iniziazione di una fanciulla in un culto misterico. A iniziazione avvenuta, dopo essere morta e risorta, la fanciulla danza felice, divina – e nuda.

Nei rituali iniziatici accadeva spesso di spogliarsi. Il più importante storico della stregoneria in attività, Ronald Hutton, ha osservato che, al di là di questi riti, la nudità è rara nella pratica religiosa, ma è comune in quella magica – e, possiamo aggiungere, un’iniziazione misterica unisce le due.

Un incantesimo di folk magic inglese richiede che una donna che non riesce ad avere figli vada nel suo orto nuda la vigilia di Mezza Estate. O, se una donna volesse avere una visione del suo futuro marito, potrebbe fare di peggio: andare a correre nuda(continua)

Un film gradevolmente falso. ALL THE BEAUTY AND THE BLOODSHED di Laura Poitras. Leone d’oro a Venezia.

Su Nan Goldin.

Le solite mitografie su un’artista (mezza) maledetta. Sesso ad ampio spettro (sì, spettro fatto di spettri), droga, povertà (tempo fa), una community di altri maledetti (veri, e prevalentemente morti – overdose e AIDS). Famiglia perbenista di merda. Sorella suicida. Relazioni distruttive (e distruggenti). La lotta vittoriosa ed eroica contro il Male (l’OxyContin, gli oppioidi, la famiglia Sackler) e per liberare l’Arte dal Male (fuori i Sackler dai musei del Mondo).

(continua)

Via Orti d’Alibert, a Roma, pochi metri da Regina Coeli. Il vecchio Filmstudio, ma ora si chiama SCENA, e dentro è proprio diverso. Evento-cinema FUORINORMA, l’associazione di Adriano Aprà, da anni in lotta appassionata per un cinema ‘altro’.

Qui, tra la fine degli anni 60 e gli anni 70, il mio personale incontro con cose che solo in questo luogo a Roma si vedevano. Stan Brakhage e l’avanguardia sperimentale nord americana. I fratelli Mekas. Cassavetes. Markopoulos. Godard. Solanas e Getino. Glauber Rocha. Alain Resnais. Miklos Jancso. Joseph Losey. Il Rossellini televisivo. I primi Antonioni. Tutto quello che girava sulla bellissima prima serie di Ombre Rosse (l’abbiamo riprodotta qui).

Ci sono tornato per la prima volta da allora domenica sera, il 5 dicembre, per FUORINORMA e per nostalgia. Pioggia, tutto chiuso intorno. La presenza del carcere.(continua)

Francesca Fini / Cyborg Fatale (2011 – 2021), a cura di Bruno Di Marino, Milano 2021

Questo libro è la presa d’atto di una compulsione alla metamorfosi e all’anamorfosi tramite una creatività artistica avida di ogni mezzo possibile.

L’artista è Francesca Fini, 51 anni, romana. Cyborg Fatale copre gli ultimi 10 anni della sua attività. Viene da dire: della sua vita, tanto è totale e senza resti il percorso che viene raccontato.

La prima cosa che colpisce è la quantità di lavoro svolto. Chi abbia avuto a che fare con Francesca ha sentito la tonalità ascetica del suo modo di fare arte, la devozione a creare senza soste né stanchezze, letteralmente giorno e notte, con una attenzione ossessiva a ogni dettaglio anche minimo, sotto il segno di una autarchia che vuole gestire da sola tutta la scena. Anche quando altri vengono coinvolti, sembrano marginali, semplici protesi (continua)

Fernanda ALFIERI, Veronica e il diavolo. Storia di un esorcismo a Roma, Torino, Einaudi, 2021

Nel 1834 una giovane ragazza romana, Veronica Hamerani, di famiglia legata alla Chiesa, manifesta i sintomi di una possessione diabolica.

Per accidente, cercando altro, nell’Archivum Romanum Societatis Iesu, Fernanda Alfieri capita sul fascicolo Esorcisazione di Maria Antonina [in realtà Veronica] Hamerani, ritenuta ossessa (1834-1835). Il fascicolo raccoglie alcuni mesi di protocolli dell’osservazione partecipante degli esorcisti seduta dopo seduta, descrive il comportamento di Veronica, corpo, gesti, parole. Racconta le azioni di chi deve liberarla dal diavolo. (continua)

Esattamente 40 anni fa, il 18 novembre, oltre 900 cittadini USA morirono nella giungla della Guyana. Un suicidio-omicidio con una bevanda al cianuro. Oltre 200 erano bambini o adolescenti, spesso avvelenati direttamente dai loro stessi genitori spruzzando il liquido in gola  con siringhe.

Il Peoples Temple (scritto così) era una setta religioso-politica californiana, fondata circa 15 anni prima dal pastore Jim Jones. Erano andati in Guyana alla spicciolata dal 1975 per fondare una comunità utopica, Jonestown.

Si sono registrati durante il rito di morte. Ero negli Usa in quel periodo. (continua)

E’ morto ieri a New York Vito Acconci, 77 anni, poeta, video e body artist, performer, architetto, instancabile sperimentatore.

Il più grande.

Solo gli Azionisti viennesi reggono il confronto. La maggior parte degli altri fanno figura di stanchi imitatori, macchiettisti, o puri e semplici gigioni.

Ero a New York nel gennaio 1972, alla Sonnabend Gallery di Chelsea, mentre era in corso Seedbed: nudo, sotto un falso pavimento, Acconci si masturbava senza fine blaterando in un microfono fantasie sessuali sui visitatori. Indimenticabile messa in scena e in atto di un desiderio tanto illimitato quanto inutile.

Il video qui: 

Vito Acconci, Seedbed, 1972

(continua)

Joan Snyder è una pittrice newyorchese affermata, e largamente sopravvalutata. I suoi «stroke paintings» degli inizi degli anni 70 furono considerati una innovazione potente, la rivisitazione decostruzionista della pittura astratta. A me sono sempre sembrati sì e no  ‘carini’. Recitanti, rassicuranti, adatti ai salotti di una borghesia ‘illuminata’ in cerca di qualche prudente brivido (estetico).

Il Metropolitan ha acquisito il cubo di cemento del vecchio Whitney ideato da Breuer sulla Madison Avenue e l’ha trasformato nel sua sezione di arte contemporanea. Giro per il 4° piano, la mostra Unfinished, e capito su Heart On. Non riesco a staccarmi. Tanto cerebralismo curatoriale nelle sale precedenti, e ora questa ‘cosa’ che sa di pancia, di corpo,(continua)

In memoria di Verlaine posseduto da Rimbaud.

La vocazione all’annuncio mortuario che caratterizza twitter mi ha ricordato che 120 anni fa è morto Paul Verlaine. Poeta, ma non grande poeta. Lieve, dolce, a volte dolciastro, così implacabilmente musicale, come il Rilke peggiore. La sua immediatezza facile – chi lo ama direbbe: ingannevolmente immediata e facile – fece scegliere due suoi versi come segnale dall’Inghilterra ai partigiani francesi che stava per avvenire lo sbarco di Normandia: Les sanglots longs des violons de l’automne / Blessent mon coeur d’une langueur monotone. Già, un languore monotono.

Gli nuoce la vicinanza e la relazione con Rimbaud, così tanto più grande. Alla fine è Rimbaud che lo salva nella memoria della poesia, il povero “vierge folle” della Saison en enfer, un ritratto così terribile e potente da rendere Verlaine grandioso malgrado se stesso, immortale per contiguità.

Ed è sempre Rimbaud a salvare poeticamente Verlaine anche dopo aver scelto da tempo il silenzio della poesia. Nel 1889 giunse a Verlaine la notizia (falsa) della morte del suo ex giovane amico (morirà due anni dopo, nel 1891). Ne uscì Laeti et errabundi, straordinaria poesia d’amore che nega la morte. All’imbolsito stanco e così adulto Verlaine scoppia la pelle dell’Io, fino ai versi incontenibili della parte finale: 

                                    Mort, vous, 
Toi, dieu parmi les demi-dieux! 
Ceux qui le disent sont des fous. 
Mort, mon grand péché radieux 

Tout ce passé brûlant encore 
Dans mes veines et ma cervelle 
Et qui rayonne et qui fulgore 
Sur ma ferveur toujours nouvelle!

Mort tout ce triomphe inouï 
Retentissant sans frein ni fin 
Sur I’air jamais évanoui 
Que bat mon coeur qui fut divin!

Da leggere di corsa, in pericoloso ricordo di Eros che fu.

Magari con l’aiuto di chi meglio di chiunque altro ha saputo reinventare la flânerie fanciullesca e maledetta attraverso le ‘zone’ della Metropoli: Wojnarowicz/Rimbaud a Manhattan, come Verlaine/Rimbaud a Londra: http://www.ilcorpo.com/…/rimbaud-flaneur-a-new-york-via-wo…/ 

 

 

 

 

Il giorno dell’immacolata concezione mi pare quello giusto per discutere razionalmente di utero in affitto, o della più ‘igienica’  “maternità surrogata”.

Imperversa la thinkpol orwelliana, la polizia del pensiero. Basta niente, e ci si ritrova omofobi, o criptofemministi, o lgbt onorari, o patriacalfamilisti, o crociati antigender, o body snatcher o innamorati-dell’onnipotenza-dell’amore, o legge-e-ordine-contro-l’amore ecc… Subito etichette. Di pensiero senza etichette: poco, percepito con fastidio. Però proviamoci, a costo di riuscire complicati e noiosi.

Tanto per acquietare subito i poliziotti del pensiero: non intendo schierarmi pro o contro l’utero in affitto. (continua)

Il 20 ottobre 1854, 161 anni fa, nasceva a Charleville Arthur Rimbaud, il più grande poeta dell’età contemporanea. Leggerlo è stata ed è un’esperienza fondamentale della mia vita.

Le parole su di lui sono tutte consumate: il Voyant, il «poète maudit», l’addio definitivo alla poesia a 20 anni, i mille mestieri in giro per il mondo, il mercante d’armi e d’altro in Africa, la morte a 35 anni ecc ecc: tutto il falpalà eroico-negativo che rassicura i filistei. Allora meglio il diciottenne in fuga a Londra con Paul Verlaine (che per lui lascia la moglie). Sopravvivono rifugiati nelle case degli esuli della Comune di Parigi, si amano, si odiano, si feriscono a rivoltellate: una «Saison en enfer». Ironicamente, dimentichiamo i battelli ebbri, le vocali e le illuminazioni. Dedichiamoci all’Album Zutique, agli Stupra, al Sonnet du Trou du Cul: roba seria, parola antiestetica che viene dal profondo del corpo, e dunque iperestetica.

Il più intenso monumento a Rimbaud lo ha costruito David Wojnarowicz, un prostituto attivo per qualche anno a Times Square,(continua)

P., 40 anni, dermatologa. Ha cancellato il sesso dalla sua vita. I rapporti col marito, la masturbazione, le fantasie, le parole. Nel gruppo d’analisi, si è consolidato il copione: tutti riescono a parlare di sessualità, a condizione che lei non ne parli. Vergine sacrificale garante del desiderio inesprimibile, permette ai compagni di esprimere desideri quasi indicibili.

La talpa scava e il copione perde efficacia. La spinta sessuale del gruppo diminuisce. Aumentano l’indifferenza, il disgusto e il rifiuto di ciascuno per il/i partner, con sconcerto poi con rassegnazione. In silenzio svaniscono gli amanti, le prostitute minorenni, i sogni. La sessualità di tutti si riversa via via nella vergine, la colma, e vi si perde. P diventa sovraccarica di sesso negato, (continua)

 

Non lo dimenticherò finché vivo.

1967, nel più improbabile dei luoghi, il Teatro Parioli, Roma, al cuore del quartiere piccolo-borghese che si pretendeva medioborghese. 21 anni. con quella che poco dopo sarebbe diventata la mia prima moglie.

Nessuna scena, solo fondali grezzi, travi, corde penzolanti, uno spazio senza vie d’uscita, Carceri piranesiani, luci senza grazia o pietà.

In programma l’Antigone di Brecht, via il Living Theater. Mai amato Brecht, al massimo sopportato, quel didascalico pedagogico greve di realtà. Ma c’era il Living. Dal 1966 la mia famiglia aveva affittato per Julian Beck e Judith Malina un appartamentino dietro Santa Maria in Trastevere. Era per 4, ci vivevano in 15. Ogni settimana qualche telefonata del Commissariato di zona, per impicci d’ogni genere. Ma adesso stavano per andarsene quasi tutti al Castello di Rocca sinibalda, ospiti, a far laboratorio, e lì ci sarebbe stato tanto spazio. 

Si parlava di loro nella Facoltà di Lettere e Filosofia occupata. Ero curioso, avido. A Berlino, Herbert Marcuse aveva già sancito “la fine dell’Utopia”, game over. In qualche modo l’enorme fiume di parole ‘alte’ e ideologiche che avvolgeva i più vivi di una generazione cominciava a sapere di morte, pensiero paranoico senza confini. Cercavo qualcosa, parole non consumate, forse gesti, di sicuro segni primitivi, corpi.

Il pubblico era quasi tutto in giacca, educato, nel buio. Lo ‘spettacolo’ non inizia. 15 minuti, 20, 30, 40. Poi inizia l’urlo. Non un grido, ma un urlo isolato e senza fine, ineducato, una voce sola e potente, da qualche parte laggiù nel Carcere d’invenzione, non da una gola ma da un ventre. Pian piano altre urla, a palcoscenico vuoto, un coro prima dell’umano e della storia, indifferente al senso e all’armonia, om senza pretesa di senso, potenza sonora del caos. Alcuni corpi praticamente nudi, donne e uomini, belli di forza non di bellezza, cominciano materializzarsi e invadono la scena a piccoli movimenti lenti, senza toccarsi o guardarsi, monadi sonore sparse sul palcoscenico, ognuna sola a se stessa. All’improvviso altri corpi nudi e urlanti scendono da dietro in mezzo alle poltrone, lentissimi, verso il palcoscenico ma restii ad arrivarci. Lo spazio intero del teatro è diventato una matrice carnale e sonora insieme, uno spazio-ventre regressivo, vicino alla origine. 

Il resto è stato Antigone, tableaux vivants, corpi-macchina e grandi macchine di corpi, pelle contro pelle, l’apollineo che mette in scena il dionisiaco, la voce del ventre che sfida il logos e il nomos della Legge di Creonte, la violenza del potere, il suo sadismo carico di desiderio, la carne morbida della vittima, il faustiano Regno delle Madri che si oppone alla legge del Padre e inghiotte senza fine l’Io nella forma-utero della sua danza, l’Io che cerca il confine della sua individualità e lo perde di continuo nel gruppo-massa di carne che lo avvolge.

Bello, ma per me la ‘verità’ è stata tutta in quel primo urlare corale di corpi sonori denso di carne e sesso e sconfinato addosso a noi, a me. In pochi minuti era saltato un paradigma, il ‘teatro’ era diventato qualcosa che non avevo mai ‘sentito’ che potesse essere, la perdita del limite, il dissolversi dell’Io abbandonatosi nel “sentimento oceanico” (Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io). Diventare magma e folla, disperdersi. Il rito non come liturgia ma come transe ec-statica. 

Sono tornato nei giorni successivi a vedere altri ‘spettacoli’: da Les Bonnes di Genet, i Misteri. Poi negli anni ho inseguito le tracce nomadiche del Living, i suoi frammenti dispersi, un po’ ovunque. Spezzoni di filmati – The Brig di Jonas Mekas è l’unico compiuto. Apparizioni qua e là: la maschera straordinaria di Julian Beck  per es. il Tiresia nell’Edipo Re di Pasolini. Altri ‘spettacoli’: Frankenstein, Seven Meditations on Political Sadomasochism nel 1974 a New York. Paradise Now, diseguale, contenitore nel quale il Living metteva tutto di sé cercando di afferrare lo spirito dei tempi quando quei tempi erano già finiti; eppure indimenticabile. 

Grado zero del teatro. Quella sera al Parioli in qualche modo è venuta meno la mia possibilità di sperimentare ancora il teatro, di viverlo di nuovo in altri modi degni. Ho cercato con ostinazione, ma sempre deluso. Ingiustamente deluso, lo so. Qualche sprazzo di speranza ogni tanto: le 120 giornate di Sodoma di Giuliano Vasilicò al Beat 72 di Roma, visto in amore clandestino, com’era giusto. Kantor, forse. Per il resto, la noia, tanta. Il déjà vu, tantissimo.

In Paradise Now torna ossessiva una frasetta presa dalle ultime pagine di The Politics of Experience, di Ronald D. Laing. “I have seen the Bird of Paradise. I’ll never be the same again”. Elogio decadente della psicosi come follia in Laing. Richiamo al dolore nostalgico dell’Utopia, in Julian Beck e Judith Malina: chi è stato ferito dall’utopia non potrà mai rimarginare la ferita, è condannato a desiderare il Paradiso Ora. Magari come Giardino Incantato all’origine di tutte le favole possibile, “nei tempi antichi, quando desiderare serviva ancora a qualcosa”, come scrivono stupendamente i Fratelli Grimm nell’incipit della prima favola della loro raccolta. O magari, per sua ventura e sventura, come il Kubla Khan di Coleridge, Perché di rugiada e miele si è nutrito/E ha bevuto il latte del paradiso.

Per me solo grado zero, teatro che ha sancito, per me,  l’impossibilità di ulteriore teatro. Un altro modo per dire la fine dell’utopia, e il suo ricordo come faglia irriducibile della realtà. Questo è morto e non è morto con la morte di Judith Malina. Si usa dire: Riposi in pace. Ma questo serve solo a rassicurare i vivi che è possibile mettere una pietra tombale sul desiderio. E allora: che Judith Malina si agiti, inquieta, per sempre. (enrico pozzi)

Masse di corpi

Masse di corpi

 

Julian Beck e Judith Malina

 

Julian Beck in Antigone (da B. Brecht e Sofocle)

Già da anni Marina Abramovic ripete stancamente il kitsch di se stessa, per se stessa e per i true believers di cui si circonda. Gli accoppiamenti con gli scheletri e con la terra alla Bicocca nel 2006 (la patetica Balkan Epic; vedi il Diario che ne parla) avrebbero dovuto mettere in guardia. Ma la carica libidica del suo corpo ancora riusciva a nascondere l’ovvio, la crisi creativa, la mancanza di idee, la povertà della narrazione. Ora il corpo ha dieci anni di più e non se la passa tanto bene, l’eros langue, il voyeurismo fatica a scattare. Servono idee per restituire carne alla carne. Ma la carne tace, e resta solo il cerebralismo di riti/performance senza verità, sine ira et studio, da burocrati del narcisismo. Se ne stanno accorgendo tutti. Alla Serpentine Gallery (continua)

[L’invenzione dell’A.D.H.D – Attention Deficit Hyperactivity Disorder, perché i bambini non possono più essere “cattivi”, ma solo malati]

The Selling of Attention Deficit Disorder

di Alan Schwarz, New York Times, 14 dicembre 2013

 

[fumetti, identità, immigrazione, sincretismi, a Parigi la mostra: Albums. Bande dessinée et immigration 1913-2013]

Dalle avventure di Asterix alla tragedia di Lampedusa passando per la nostalgia di Superman. In mostra a Parigi un secolo di migrazioni raccontate attraverso le strisce dei fumetti e le biografie di chi li ha disegnati

Supereroi in cerca di casa

di Siegmund Ginzberg, la Repubblica, 15 dicembre 2013, p. 37

 

[Udacity: la formazione universitaria online non funziona, solo il 7% supera l’esame finale e solo il 4% completa il corso; altre accademie digitali: Coursera e edX]

I riscontri sulla proposta educativa che aveva lanciato deludono lo scienziato Sebastian Thrun. Sollievo degli atenei tradizionali

Dietrofront, cari studenti in rete. L’università online non funziona

di Massimo Gaggi, la Lettura, 15 dicembre 2013, p. 4

 

[iloveyourwork: Jonathan Harris realizza un’etnografia visuale della vita quotidiana di 9 donne nel porno lesbico]

Documenta. Un lavoro appassionato e molto intimo

di Chiara Campara, la Lettura, 15 dicembre 2013, p. 8]

 

[arte digitale; Julia Kaganskiy: nuovo incubatore arte, design tecnologia del New Museum di New York; piattaforme online per l’arte digitale: openframework; artisti digitali segnalati: Julian Olivier, Dunne&Raby, Lauren McCarthy]

Centri – Julia Kaganskiy, 28 anni, dirigerà l’incubatore del New Museum di New York. “E’ nata una nuova classe culturale”

A me gli hacker, anzi gli artisti

Con internet tutto il processo creativo diventa opera

di Serena Danna, La Lettura, 15 dicembre 2013, p. 16

 

[Vincenzo Padiglione: Poetiche dal museo etnografico; AM – Antropologia museale, Itri: Museo del Brigantaggio]

L’Istat censisce le (fondamentali) istituzioni legate al territorio

Mille musei etnografici: un caotico primato italiano

di Adriano Favole e Vincenzo Padiglione, La Lettura, 15 dicembre 2013, p. 17

 

Nella Nordic House, all’interno del Municipio di Reykjavik, sul Pond, una potente mostra fotografica presenta 61 volti di partecipanti ai Gay Pride del 2011 e 2012, Nuuk, Groenlandia. Le foto sono di Jurgen Chemnitz, nell’ambito del progetto Gay Greenland. Questa mostra ne è la prima manifestazione su scala mondiale, e la prima rappresentazione forte dell’omosessualità nel Grande Nord che va dagli Inuit alaskani a Nunavik, dalla Groenlandia fino ai confini del mondo Sami.

Sono ritratti in primo piano. Come tutti i ritratti, il volto costruisce la rappresentazione condensata della propria identità psicologica e sociale. (continua)

New York, 4 dicembre 2011- 3 dicembre 2012, Chelsea

 In fondo alla 22a lo Chelsea Art Museum. Anni fa una mostra di Cristòbal Gabarron, The Body Image. Valeva poco, ma nel negozio all’ingresso vendevano cose insolite, tipo un manualetto ciclostilato per sopravvivere in carcere: come farsi un coltello con un cucchiaio, come evitare gli stupri. Oppure cataloghi e libri che non aveva nessuno.

Ci torniamo. Sono le 5 del pomeriggio. Odore di hamburger e  patatine. Un tizio – un custode? – mangia seduto tra i volumi. Alla cassa sta una ragazza – 25 anni? acne: indifferente, parla al cellulare. Il museo è deserto. Mostra di un tale che non so chi sia – Sam Goodman, Reality and Abstraction. Paintings 1945-1959. Le immagini su un opuscoletto vanno passar la voglia di saperne di più.

Giriamo nello shop. Robe insolite in lingue insolite per un museo d New York: cinese, coreano, tedesco. Sullo scaffale in svendita, un volumetto in tedesco, NO!ART, di tali Boris Lurie e Seymour Krim.(continua)

Tempi difficili per il pene. La sofferenza sociale e il dolore anomico dell’Io cercano nemici da combattere per acquietarsi. Pretesti per esportare l’ansia e tradurla in aggressività contro un potente qualcosa che ci vuole distruggere. E di mezzo ci va spesso proprio lui, il “fragile stelo di carne”, parola di Simone de Beauvoir nel Secondo sesso.

Un pretesto sempre a portata di mano è la malattia. (continua)

Il 27 giugno scorso, il Tribunale di Colonia ha stabilito che la circoncisione di un minore per motivi religiosi è una lesione corporale a tutti gli effetti, e va vietata. “Il corpo di un bambino viene modificato in modo duraturo e irreversibile con la circoncisione”: una mutilazione ingiustificata razionalmente, inflitta a un soggetto indifeso dalla famiglia e dal gruppo di appartenenza.

La sentenza è ovvia, razionale, conforme alla difesa dei diritti di un soggetto debole, e in particolare del diritto alla integrità corporea. A nessuno dovrebbe esser concesso(continua)

50 anni. Donna. Lotta a ondate di ormoni contro la menopausa per mantenere le mestruazioni. 

Sogno.

Un uomo e una donna nudi immobili indifferenti. Dai loro corpi partono due tubi. Passano attraverso un termosifone e arrivano a un ano che è anche un capezzolo, dal quale esce latte. Latte morto.

Le conversazioni sociali hanno pochi dubbi. Noemi e Papi hanno fatto cose. A Villa Certosa ci sono state le orge. Berlusconi si rimedia le giovanette e ha l’harem. Ecc.

La cosa strana è che ci credono anche quelli che dichiarano di non crederci. Dicono: non c’è nessuna prova, le foto dei tanga cellulitici di Villa Certosa sono roba da suore orsoline rispetto alle spiagge nazional-popolari di Rimini o  Coccia di morto.(continua)

La vicenda Noemi-Papi-Veronica-Villa Certosa-La Repubblica ecc ecc è una ennesima dimostrazione del confine labile tra politica e folie à plusieurs, tra costruzione del consenso e pensiero paranoico, tra immaginario sociale e ideologia. Troppo banale per perderci il tempo di una analisi sistematica.

Qualche domanda vale lo stesso la pena. La prima qui, le altre verranno.(continua)

Storie di trasparenza. La madre di un paziente che anche quando stava al gabinetto teneva la porta aperta per non perdere mai di vista i corridoi sul quale davano tutte le stanze della casa: del tutto visibile per poter vedere sempre tutto.

Oppure. La famiglia di una giovane paziente che vive in una casa senza porte. Tutti sempre nudi e senza la seconda pelle dei vestiti. Tutti sotto gli occhi di tutti in ogni atto. La vita intima del corpo come fatto pubblico. (continua)

Come ha scritto Max Weber, il leader carismatico deve dimostrare continuamente che la potenza del carisma sta ancora in lui, e che è ancora il portatore di doni straordinari.

Nei periodi di crisi, questa dimostrazione è al tempo stesso più difficile e più necessaria. Quando la realtà non aiuta, occorre un sovrappiù di immaginario, e bisogna tirare in ballo le forme più primitive della potenza, quelle legate al corpo e alla sessualità.(continua)