Sposto un po’ di libri. Quando mi va di mentirmi, mi dico che li metto a posto.
Mi capita tra le mani un saggio su Ockham, filosofo ‘mio’ come pochissimi altri. Ha plasmato la mia ossessione di sempre su tutto, conoscere e dire il singolare.
Il libro è molto bello. Lo ha scritto tanti anni fa Pierre Alféri, il figlio di Jacques Derrida e della psicoanalista Marguerite Aucouturier. Per liberarsi del padre, adottò il cognome della nonna materna.
Dopo Ockham è stato di tutto: chansonnier, regista, poeta, traduttore, musicante, disegnatore, creatore/distruttore di riviste letterarie, dissolutore e ricombinatore di linguaggi in costruzioni che non riuscivano mai a concludersi.
Il rasoio di Ockham… non se ne liberò mai. Irrimediabilmente singolare. Per credere di afferrarlo, forse la ‘cosa’ sua migliore è il lontano “Chercher une phrase” del 1991.
Conosciuto alla fine degli anni 80, a Villa Medici, dove era pensionnaire. Aveva una conversazione ‘dispersa’. Era molto amico di una allora intensa amica, Chantal Akerman.
E’ morto l’anno scorso, a 60 anni, di un lungo tumore.
Avrei voluto dedicargli allora queste righe,  a ricordo di una terminale pratica del singolare. Me ne sono dimenticato, ma Ockham non perdona. Torna. (enrico pozzi)

Louis Althusser, Des rȇves d’angoisse sans fin. Récits de rêves (1941-1967), a cura di O. Corpet e Y. Moulier-Boutang, Paris, Grasset, 2015, 20€.

     Mattino del 16 novembre 1980, Parigi, Rue d’Ulm, École Normale Supérieure. Il filosofo Louis Althusser, prestigioso docente della più prestigiosa delle Grandes Ecoles francesi, si precipita nel cortile. Ha strangolato la moglie, l’inseparabile Hélène Rytmann, che non ha opposto resistenza. Riconosciuto incapace di intendere e volere, evita il processo. Muore nel 1990.

     Althusser era stato forse il più interessante filosofo marxista degli anni 60-70, (continua)

L’impossibilità di dimenticare generata dal Web e dagli archivi elettronici non riguarda solo le vite personali. Alle nostre identità è concesso sempre meno il sollievo dell’oblio e della palingenesi verso un altro sé o un altro nome. Lo stesso però vale per altre attività umane, ad es. l’attività scientifica e la scrittura.

È Serena Danna a porci il problema con un bell’articolo nell’inserto La Lettura del Corriere della sera del 22 gennaio (http://lettura.corriere.it/sappiamo-tutto-capiamo-poco/). Il punto di partenza è un saggio piuttosto superficiale di David Weinberger, tipico prodotto di filosofia-spettacolo, che per fortuna la Danna usa solo come pretesto.

Come si può ancora pensare, o scrivere, o asserire qualcosa quando si è immersi nel flusso dell’overload informativo?(continua)

Palazzo delle Esposizioni, 7 gennaio. Sole stupendo fuori.

Dentro, due mostre sull’URSS in contemporanea: Realismi socialisti. Grande pittura sovietica 1920-1970, e Aleksandr Rodčenko.

Bel contrappunto: ottima mostra di prevalente ciarpame artistico, la prima; e pessima ambigua mostra di alcune belle cose, la seconda.

Realismi socialisti è la storia estetica di un disastro storico-politico: in questo senso, autentico realismo suo malgrado.(continua)

Le prime righe funzionano. Prospero constata che Berlusconi è “il più importante politico della Seconda Repubblica”. Studiare la sua comunicazione “può contribuire a cogliere alcune regolarità della politica postdemocratica al di là di comode semplificazioni”. La categoria di “politica postdemocratica” non si capisce cosa voglia dire ma mette curiosità. La rinuncia alle “comode semplificazioni”  apre alla speranza.

Qualche altra riga, e la speranza se ne va. Il primo segnale è la scrittura. Siamo tra Bouvard et Pécuchet e il Dictionnaire des idées réçues applicato allo stile. Digramma dopo digramma, il banale e il prevedibile da piccola borghesia al liceo classico. (continua)

Per sua grandezza e nostro sfortuna Carlo Galli – mi si dice: docente di Storia delle Dottrine politiche a Bologna – non smette di pensare.

In un ovviamente pensoso articolo (“Se l’avversario torna nemico”, Repubblica, 2 luglio), si avventura sul terreno scivoloso della coppia amico/nemico dello ovviamente “inquietante” Carl Schmitt, e sull’ancora più scivolosa trasformazione paranoica dell’avversario politico in Nemico interno.(continua)

Storie di trasparenza. La madre di un paziente che anche quando stava al gabinetto teneva la porta aperta per non perdere mai di vista i corridoi sul quale davano tutte le stanze della casa: del tutto visibile per poter vedere sempre tutto.

Oppure. La famiglia di una giovane paziente che vive in una casa senza porte. Tutti sempre nudi e senza la seconda pelle dei vestiti. Tutti sotto gli occhi di tutti in ogni atto. La vita intima del corpo come fatto pubblico. (continua)