A Biella. Prorogata. A cura di Irene Finiguerra e Fabrizio Lava. Diverse immagini prevedibili, ma anche molte insolite, poco viste, marginali e di fotografi marginali. Wove (alias Wolfang Wesener), Marisa Rastellini, Gigi Piana, Luciano Romano, Mario Daniele. Tre declinazioni – il ritratto, l’autoritratto e il selfie – intorno alla inesauribile poledricità del volto in cui il corpo cerca di sfuggire alla propria ripetitività e in fondo banalità. Chissà se ci sarà un catalogo. Da vedere, se ci si riesce.

https://www.fondazionecrbiella.it/volto

La Grande Guerra come spaventoso e grandioso laboratorio medico, politico e sociale intorno al corpo ferito.

Bisogna vedere la bella mostra in corso allo Science Museum di Londra: immagini, strumenti, materiali e pezzi surrogati di corpi in esposizione fino a metà gennaio. 

Per non dimenticare che l’ultimo metro, o centimetro, di ogni guerra è un corpo, la sua pelle e carne.

https://www.sciencemuseum.org.uk/see-and-do/wounded-conflict-casualties-and-care

La mostra si concluderà con un Workshop su (continua)

Fino al 18 Novembre, una bella mostra a Roma: I fiori del male – Donne in manicomio ai tempi dei fascismo. Il manicomio è quello di Sant’Antonio Abate, al centro di Teramo, chiuso nel 1998. Le donne sono quelle condensate in frammenti vari di biografia: foto, cartelle cliniche, lettere ecc. Materiali raccolti da Anna Carla Valeriano, della Fondazione Università degli Studi di Teramo, proprietario dell’Archivio dell’Ospedale. Il commento è a volte semplicistico, come per es. sul rapporto tra fotografia manicomiale e fisionomica lombrosiana, e altre volte più articolato, lontano dagli stereotipi facili sulla istituzione manicomiale come mera segregazione sociale.

Una buona intervista alla curatrice qui: http://www.vice.com/it/read/annacarla-valeriano-intervista-donne-manicomi-fascismo?utm_source=vicefb

 

Torneremo sulla mostra e sul precedente volume della curatrice nel nostro Diario paranoico-critico.

 Casa della Memoria e della Storia di Roma, Via di S. Francesco di Sales, 5, 00165 Roma (chiuso, purtroppo, il sabato e la domenica!)

Una insolita, straordinaria madonna con bambino è il vertice estetico della mostra sull’arte Andina durante la dominazione spagnola in corso allo Art Institute di Chicago. A Voyage to South America. Andean Art in the Spanish Empire: questo il tema. Due grandi sale con opere spesso esposte per la prima volta, provenienti in molti casi da collezioni private, e quasi tutte di grande bellezza. Ma l’incauto visitatore in attenzione fluttuante si ferma lì, davanti alla Nostra Signora di Betlehem con un donatore, opera di ignoto artista peruviano attivo a Cuzco nel XVIII secolo. Eccone un dettaglio. Condensa e esprime in forma visiva i dilemmi, le tentazioni e le strategie dell’unità duale. Restituisce uno sguardo originario sulle madonne con bambino che troppo abbiamo visto. Ci torneremo presto nel Diario paranoico-critico, del cui metodo è ben degna. 

 

Ignoto, Nostra Signora di Betlehem con un donatore (dettaglio), Cuzco (Perù), XVIII secolo

In corso a Venezia la più interessante iniziativa recente di Body Art al livello internazionale. Ritual Body – Political Body è il tema della 2a Venice International Performance Week, in corso a Palazzo Mora. Oltre 50 artisti conosciuti e meno conosciuti lavorano fisicamente intorno a due aspetti-chiave interconnessi del corpo come costruzione sociale: segno, sintomo, incarnazione dell’ordine e della possibilità del disordine. 

Già nel 2012 la 1a Performance Week aveva affrontato un tema potente: Corpo ibrido – Corpo poetico.
Questa volta il focus(continua)

Judy Scott, sindrome di Down, sorda dalla nascita (ma se ne sono accorti 20 anni dopo), diagnosticata autistica (ma non lo era). Mai una parola pronunciata da viva. A oltre 40 anni comincia a creare oggetti, forme e variazioni intorno ad un Io murato, alla pelle-corazza che lo avvolge difende e quasi uccide, pelle che si smaglia a tratti e lascia intra-vedere o fuori-uscire. A dimostrare che la “fortezza vuota” di Bruno Bettelheim in realtà brulica di capacità e domanda di vita (Bettelheim lo sapeva bene). Una mostra straordinaria in un museo sobrio e intelligente, agli antipodi delle gigionerie dei grandi musei di Manhattan. Per chi può, da vedere assolutamente. Il prossimo numero de IL CORPO dedicherà un saggio a Judy Scott.  (enrico pozzi)

http://www.brooklynmuseum.org/exhibitions/judith_scott/ 

 

Judy Scott

 

Judy Scott con uno dei suoi 'oggetti'

 

Un 'oggetto'

Dal 17 Ottobre a Londra una straordinaria collezione di foto di tatuaggi dalle carceri sovietiche. Si tratta di una selezione da oltre 900 foto scattate da Arkady Bronnikov negli Urali e in Siberia tra il 1965 e il 1985. Bronnikov era un capo-criminologo del Ministero dell’Interno sovietico. Nell’esercizio delle sue funzioni ha fotografato sistematicamente migliaia di corpi tatuati.  La sua (apparente?) indifferenza documentaria dà alle sue immagini la potenza visiva di foto segnaletiche, ma spesso senza volto: repertori parziali di pelle scritta dal sociale, tracce di gruppo dove riaffiora di continuo malgrado se stesso l’individuo, la sua carne, la sua autorappresentazione. Da non perdere, presso una delle più interessanti gallerie londinesi, la Grimaldi Gavin, nata dalla scissione della Brancolini Grimaldi. Sta al 17, Albemarle Street. info@grimaldigavin.com. La mostra chiuderà il 21 novembre.

A pochi metri da Avenue Foch, il Musée Dapper è uno dei gioielli meno conosciuti della Parigi etnoartistica e etnoculturale. Piccolo, è costretto a evitare le ipertrofie e a selezionare con coraggio. Raccolto ed elegante, concentra l’attenzione e valorizza i propri contenuti. Molte attività, e almeno una mostra importante ogni anno. In realtà le mostre sono di solito due: una più ampia, ‘storica’ e accuratamente etnografica; l’altra , simultanea e nella prima saletta, dedicata a creazioni  e artisti contemporanei.

Da non perdere le due mostre in corso ora. Nella sala grande, quasi 150 maschere e oggetti collegati ai riti di iniziazione nel bacino del Congo. Le forme simboliche e le cosmogonie possono variare, ma le logiche rituali del passaggio sono ancora e sempre quelle identificate nel 1909 da Van Gennep. Straordinario quello che si vede, in un equilibrio maturo tra precisione filologica e dimensione estetica. Non si raggiunge la ricchezza e potenza della Mostra sul Vaudou alla Fondation Cartier (la collezione Kerchache), ma l’impatto è emozionante.  La maggior parte dei pezzi viene dal Musée Royal de l’Afrique Centrale di Tervuren (Belgio), chiuso fino al 2017 per lavori di ristrutturazione. 

Nella saletta d’ingresso, le maschere di Romouald Hazoumè, (continua)

Alla Nieuwe Kerk di Amsterdam vengono esposti oltre 200 oggetti collegati alle tradizioni artistiche degli Indiani del Nord America.

L’esposizione copre in modo rapido ma abbastanza completo la produzione artistica dalle grandi tribù del Sud e delle Pianure fino alla North West Coast e all’Alaska. L’occasione non è banale: le collezioni pubbliche dei musei europei sono piuttosto povere, e le mostre tematiche particolarmente rare. 

La mostra durerà fino al 1 aprile 2013. Una occasione per completare quel non molto che si può vedere al Quai Branly, al British o al  NordAmerika Native Museum di Zurigo.  http://www.nieuwekerk.nl/en/