Eugenio BORGNA, L’indicibile tenerezza. In cammino con Simone Weil, Milano, Feltrinelli, 2016
Generoso, questo libro di Eugenio Borgna su Simone Weil. Disperatamente empatico. Eppure inutile. Borgna si disperde nel suo oggetto, e in questo modo perde l’oggetto. Dopo 218 pagine verbosamente appassionate, Simone Weil rimane lontana, incomprensibile, e non per eccesso di senso, ma per difetto di distanza critica.
Lo psichiatra Borgna rivendica da sempre la matrice fenomeno-ogica della sua psichiatria. Questa grande scuola filosofico-psichiatrica gli serve per proporre e difendere la comprensione della sofferenza psichica, che ha sempre un senso. Su questo Borgna innesta un afflato religioso, fatto di misericordia e di riconoscimento della dignità assoluta della persona sofferente, del suo discorso verbale e del suo comportamento. L’esito sperato è una strategia spontanea della immedesimazione come accesso al mondo dell’altro, e come breccia terapeutica. L’esito possibile è una relazione quasi mistica con la persona sofferente, relazione che acceca lo sguardo.
Questo libro su Simone Weil è esemplare della trappola confusiva – per di più desiderata, e considerata conoscenza – che attende Borgna al varco. Chi ha amato la tradizione psichiatrica cui Borgna si collega poteva aspettarsi ciò che quella tradizione ha saputo e sa dare nei suoi momenti alti: la rappresentazione, vorrei dire: la descrizione densa (thick description) del Dasein dell’altro, il suo modo specifico di essere-nel-mondo, di vivere il mondo e di costruirne il proprio significato sovraccarico di sofferenza e distruttività.
Nulla di tutto ciò in queste pagine su Simone Weil. Borgna viaggia dentro la vicenda umana e testuale di questa giovane donna, immerso, senza prendere aria e senza cercare un qualche punto di vista decentrato sul suo viaggio. Teresa di Calcutta, Teresa di Lisieux, Giovanni della Croce, Etty Hillesum: sono questi i modi di essere-nel-mondo usati come specchio e commento per la vicenda umana e per il pensiero della Weil. Detto in breve: per Borgna la Weil è santa, dominata da un amore inconsulto e illimitato per l’umanità intera, un amore distillato e sublimato dalla sofferenza fisica e psichica.
In questo modo a Borgna sfugge l’essenziale. Al centro del Dasein di Simone Weil sta l’odio, un odio smisurato verso sé stessa dunque verso gli altri
Una famiglia moderna e politicamente corretta. Corpi sempre nudi, porte sempre aperte o tolte via, sincerità totale, trasparenza della pelle e della mente, sesso esplicito e a vista, il panopticon, l’Io casa di vetro.
Il fratello maggiore va all’estero per uno scambio culturale. Lei comincia a ingrassare senza fine.
Anni di analisi. Riesce ad avere un figlio. Continua a combattere con la madre interna che le ordina di dimagrire. Pensa che tutto nasca dal suo rapporto con la madre. Ovviamente non dimagrisce, ma almeno riesce a non ingrassare ancora.
Compra una casa con i soldi della liquidazione del padre. Mentre fanno i lavori, torna a vivere a casa del padre e della madre insieme al bambino e al compagno. Rende la loro vita un inferno per tenerli a distanza in attesa di andarsene.
Odia i soldi che il padre le ha dato. Non vuole il legame del dono. Ne parla per ore. Sono un pegno d’amore.
Di colpo capisce. Quando il fratello è andato via lei è rimasta sola con la madre, e con il padre. Esposta alla violenza del fantasma dell’incesto. Decide, non lo sa ma decide, di farsi grassa e brutta, repellente contro il padre e il proprio desiderio del padre. Senza fine, finché non si esaurirà la forza dell’incesto. Quando lei potrà staccarsi finalmente da quel fantasma di padre non con la messa a distanza delle liti o della repulsione coltivata del suo corpo grasso, ma con una separazione finalmente autentica.