Tradimenti letterari e ‘tradimenti’ storici in uno scialbo libretto di Giorello. Da non leggere

Si torna spesso sul luogo del delitto, spesso per completarlo o migliorarlo, o per salvarsi la faccia. È il caso di Giorello sul tradimento. Anni fa – nel 2007, per la precisione – aveva curato un Almanacco Guanda sul complotto (Il complotto. Teoria, pratica, invenzione, Parma): uno stanco volumetto senza idee (http://www.ilcorpo.com/ilcorpo/diario-paranoico-critico/paranoia-1-immaginiamo-complotti-per-colpa-della-morte-di-dio/). Ora ha pensato bene di dedicarsi al metalivello che condiziona la pensabilità, la desiderabilità e la concretizzazione del complotto, ovvero il tradimento.

Non disponendo di un tipo ideale o di una qualche modello concettuale del tradimento – tutta roba che costa fatica –, Giorello la butta in caciara. Prende i traditori sicuri – quelli letterari (molti), quelli storici (pochissimi) – e si lancia in una fenomenologia ‘colta’ del tradire. Per sua e nostra tranquillità va sull’ovvio: Flavio Giuseppe, Giuda Iscariota, Lucifero, Iago, Cesare, Bruto, Antonio (di Cleopatra…), Macbeth, Thomas Paine, Roger Casement, Kim Philby, Stalin, Rubasciov, Renaud, Don Giovanni, Ryan, Cassio ecc. Naturalmente bisogna anche essere postmodernamente colti e aperti: così tocca pure a un racconto di Tex Willer e a un fumetto di Topolino. Qua e là affiorano altri nomi, i corruttori, Machiavelli, Spinoza… A dare scheletro al flusso, categorie icastiche sotto i titoli dei capitoli disegnano la griglia invisibile, ma proprio invisibile, di questa fenomenologia: sotto a Nello sfintere dell’Universo appare Cosmologia. Poi dopo, di capitolo in capitolo: Politica, Teologia, Metafisica, Etica, Arte, ovvero il tradimento come poderoso organizzatore euristico del Pensiero umano condensatosi in Giorello.

Alcune pagine sparse sono anche divertenti, altre sembrano roba di bignami liceale: presentare in quel modo il rapporto tra Machiavelli, il machiavellismo e il tradimento, usare in quel modo Iago… Altre ancora, tante di quelle ‘storiche’ che richiedevano serietà e impegno, fanno acqua o risultano rimediate di seconda o terza mano: valga per tutti Kim Philby, a proposito del quale Giorello parla di triplo gioco – il che è vero – ma non permette al lettore di capire in che cosa è consistito perché forse non lo ha capito tanto neanche lui.

Si capisce bene che a Giorello i traditori piacciono, soprattutto quelli letterari. Lucifero angelo decaduto non è più di moda, l’Inno a Satana oramai funziona solo con qualche residua beghina metafisicheggiante. Rimane solo la loro variante vagamente intimistica e psicologizzata per prometei piccolo-borghesi: appunto il traditore. Giorello ce la mette tutta per innalzarlo a un livello tragico facendone un esploratore della libertà, un praticante del libero arbitrio, un educatore alla rottura delle appartenenze e delle fedeltà stolide: il portatore eroico della metanoia esistenziale, sociale o addirittura storica. Purtroppo non è convincente. Anni fa, in un libro da leggere e rileggere: La morte della tragedia, George Steiner aveva sottolineato che la tragedia muore come possibilità narrativa e umana quando il fato da potenza esterna diventa una coazione interna, ad es. l’inconscio, e si psicologizza. I traditori prevalentemente letterari di Giorello – e nelle sua analisi diventano ‘letterari’ anche quelli che sarebbero protagonisti storici – sono condannati alla psicologia. Aggiungo: alla pochezza storica e alla banalità della psicologia individuale.

Altro che libro arbitrio e tutto il falpalà intellettualistico che ne consegue. Proprio al livello psicologico, se mettiamo tra parentesi il loro eventuale impatto ‘storico’, i traditori sembrano tanto dei mezzi poveracci, e il loro tradimento una avventura umana alquanto banale. E quando non è banale, non lo è per motivi extra-tradimento: Ezra Pound come traditore è interessante ma perché è l’Ezra Pound dei Pisan Cantos, l’editor di The Waste Land, e tutto il resto.

Giorello avrebbe fatto bene a dedicarsi a traditori veri, non letterari o quasi. Che so, William Joyce, John Amery, Guy Burgess, Donald Maclean, la Rosa di Tokyo, Alger Hiss,; oppure, dalle parti nostre, Celeste Di Porto, Patrizio Peci ecc ecc ecc, ricostruendo le loro vite, e i percorsi dei loro tradimenti: sarebbe bastato già Rebecca West, The meaning of treason, 1949 e 1965, su Joyce e Amery, per fargli passare – spero – qualsiasi voglia di lettura ‘sublime’ del traditore. Avrebbe fatto bene a leggere qualche scritto che la psicoanalisi – notoriamente antieroica – ha dedicato alle matrici psichiche del tradimento e dei traditori, magari partendo da The Psychology of Quislingism di Ernst Jones (1940).

Ma soprattutto avrebbe dovuto farsi una lista di traditori in carne e ossa che siano anche traditori ‘veri’, e avrebbe scoperto che è quasi impossibile metterci dentro dei nomi. Chi tradisce sul serio non ‘tradisce’, cioè non si sente un traditore. Se a volte si sente tale, è solo all’interno di una colpa che in realtà nasconde tutti i piaceri infiniti della «coscienza infelice»: vedi i tradimenti affettivi. La fattispecie del tradimento è quasi impossibile da circoscrivere, e il traditore è tale prevalentemente dal punto di vista della presunta vittima, o di chi ritiene di trarre un vantaggio dal suo tradimento. A meno che non si tratti di un traditore letterario, l’unico che può essere scritto senza apostrofi, e allora è tutto prima facie più semplice…

 

http://www.enricopozzi.eu/pubblicazioni/ilcorpo/Iltraditorecomestranierointerno.pdf, oppure

http://www.ilcorpo.com/ilcorpo/?redirect_to=http://www.ilcorpo.com/pdf/b9445aebd4e8e35fcd21b21b13c8bd75.pdf

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