Parigi. Al Musée Dapper due mostre da non perdere

A pochi metri da Avenue Foch, il Musée Dapper è uno dei gioielli meno conosciuti della Parigi etnoartistica e etnoculturale. Piccolo, è costretto a evitare le ipertrofie e a selezionare con coraggio. Raccolto ed elegante, concentra l’attenzione e valorizza i propri contenuti. Molte attività, e almeno una mostra importante ogni anno. In realtà le mostre sono di solito due: una più ampia, ‘storica’ e accuratamente etnografica; l’altra , simultanea e nella prima saletta, dedicata a creazioni  e artisti contemporanei.

Da non perdere le due mostre in corso ora. Nella sala grande, quasi 150 maschere e oggetti collegati ai riti di iniziazione nel bacino del Congo. Le forme simboliche e le cosmogonie possono variare, ma le logiche rituali del passaggio sono ancora e sempre quelle identificate nel 1909 da Van Gennep. Straordinario quello che si vede, in un equilibrio maturo tra precisione filologica e dimensione estetica. Non si raggiunge la ricchezza e potenza della Mostra sul Vaudou alla Fondation Cartier (la collezione Kerchache), ma l’impatto è emozionante.  La maggior parte dei pezzi viene dal Musée Royal de l’Afrique Centrale di Tervuren (Belgio), chiuso fino al 2017 per lavori di ristrutturazione. 

Nella saletta d’ingresso, le maschere di Romouald Hazoumè, tra i protagonisti di quel crogiolo dell’arte centro-africana che è il Bénin, paragonabile a Gérard Quénum per ironia e uso di objets trouvés, anche se meno visionario e inquietante. Bidoni genialmente stravolti in coperture di volti: alla lettera, maschere da strada che ancora sanno di nafta e portano le impronte del camion che le ha schiacciate trasformandole in visi da iniziazione. 

Da non perdere.

Romouald Hazoumè, 2009

 

Romouald Hazoumè, 2010

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