paranoia (1). Immaginiamo complotti per colpa della morte di dio?

 

Lo pretende Karl Popper, in qualche paginetta di Conjectures and Refutations. “La teoria sociale della cospirazione non è altro che una forma di […] teismo, di una fede in divinità i cui capricci e desideri governano ogni cosa. Deriva dall’abbandono di Dio e dalla conseguente domanda: Chi c’è al suo posto? Questo posto viene quindi occupato da vari uomini e gruppi di potere, sinistri gruppi di pressione sui quali deve ricadere la colpa di aver progettato la Grande Depressione e tutti i mali di cui soffriamo”. 

Dio muore, e noi, mutilati del senso delle cose, produciamo narrazioni di complotti per restituire alla realtà un deus ex machina e un surrogato di senso? Proprio non sta in piedi.

Le teorie cospiratorie prosperano nelle epoche religiose e in quelle miscredenti. Gli dei servono ben spesso da rinforzo ai complotti, le religioni riempiono il mondo di mitologemi e ipotesi di congiure. La presunta conseguenza logica – ritroviamoci qualche dio così diminuiamo il tasso della paranoia sociale – ripugna a qualsiasi persona dotata di occhi per vedere e di mente per ricordare.

Veramente Popper ha scritto queste frasette per arrivare ad altro: alla critica implicita del funzionalismo nelle scienze sociali, con la sua tendenza a cogliere  sempre una interdipendenza funzionale tra tutto ciò che accade in un sistema sociale, che è poi un altro modo per riempire a forza di senso la realtà. Secondo lui le sceinze sociali dovrebbero piuttosto far vedere quanto i comportamenti che mirano a determinati risultati quasi mai li conseguono, e come il sociale sia una rete di imprevidibili effetti perversi. I complotti non funzionano mai del tutto, come nessuna azione umana che persegue razionalmente uno scopo. Pareto ritrovato…

A prendere sul serio le frasette ci sono invece alcuni commentatori e il curatore dell’ultimo Almanacco Guanda (Il complotto. Teoria, pratica, invenzione, Parma 2007). Così l’inconsapevole Popper si ritrova a dover puntellare un discorso sul complotto che è senza idee e si perde in problemi del tipo: ma che ne facciamo delle teorie cospiratorie se poi i complotti ci sono sul serio?

Giorello è imbarazzante: da accademico definitivamente spompato qual’è, apre con Saramago (non lo farebbe neanche la casalinga di Voghera), glossa rapidamente una antologia recente sulle teorie cospiratorie, si incarta tra verità manifesta e verità nascosta,  e la butta in caciara concludendo sublime: “Ma tale diritto non è che un nome per libertà”.

Eco è più furbo. Usa pure lui Popper, che faceva tanto chic (ma Eco ha la sua età, e sullo chic è rimasto indietro). Se la prende con un repertorietto di cospirazioni che non meritava neanche di essere aperto.  Dà qualche datata indicazione bibliografica. Usa un altro diventato ahimé da giro chic démodé, lo Simmel dell’Exkurs sul segreto. Uno o due paradossi sparsi,e Scaramella per concludere. In fondo è solo una bustina di Minerva…

Se la cavano meglio gli storici, e quelli che narrano qualche cospirazione presunta. Almeno lì c’è la carne del pensiero cospiratorio, la logica della sovrainterpretazione, la paranoia individuale e sociale nel sua maestà. Meglio di tutti però Filippo Ceccarelli, la storia alla Borges di una Biblioteca infinita di complotti che a sua volta sembra un complotto, il paziente accumulo – di chi? per chi? perché? – di miriadi di opuscoli, pamphlet e altre tracce marginali e interstiziali dei complotti della Repubblica, e l’invito a produrre pensiero cospiratorio che viene da questa misteriosa e anonima massa di segni e indizi di cospirazioni. Del resto il rapporto tra complotto e libro, o Libro, è essenziale da sempre.

Il problema vero rimane fuori dalle 216 pagine.  Non conta se un complotto è vero o falso, se concretizza dio o lo sostituisce. Conta chiedersi: perché alcuni ‘complotti’  funzionano nella mente della gente, e altri no? Cosa costruisce l’ovvietà sociale di un complotto, ovvero il fatto che a tanti quella costruzione narrativa suona immediatamente autentica o plausibile? Quale è la retorica vincente del complotto? Come, quando e forse perché il pensiero paranoico diventa la forma prevalente del pensiero di un aggregato di persone, dalla coppia alla nazione? A me pare questa la domanda cruciale. E lasciamo dio morire in pace. 

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