Il confine attraversa tutto ciò che Ingeborg Bachmann ha scritto ed è stata. Confine tra le parole e il mondo. Confine tra le persone, i generi, i corpi, le lingue. Confine tra gli spazi, le appartenenze geografiche, le identità molteplici. Confine al tempo stesso insuperabile e irrinunciabile. Pelle, e come la pelle involucro dell’io, diaframma e contatto, sintesi tra ferita e corazza, pronto ad accogliere – spesso, ad accogliere il niente – e destinato a bruciare. Non basta essere Ondina, ‘liquido’ alter ego della Bachmann, per potersi esimere dal confine, e salvarsi dal fuoco. L’acqua non può spegnere nulla, perché è solo «un confine umido tra me e me».
Tracce del confine ovunque. Nei frammenti proposti qui. Ma anche in molti racconti del Trentesimo anno, in Malina, nelle pagine sul Muro di Berlino, in In cerca di frasi vere, nella corrispondenza con Paul Celan e con Hans Werner Henze, in altre corripondenze private – oltre 800 lettere, frammenti ecc – non ancora rese accessibili, se lo saranno mai. E poi ancora in quasi tutto il resto della sua scrittura.
Luogo geometrico di questo confine: il rapporto con il tedesco, lingua-madre, rinnegata senza fine, tradita, tradotta, spesso odiata, eppure così irrimediabile, ferita che non accetta rimedio o cura.
https://www.ilcorpo.com/it/rivista/dicembre-2015_56.htm
Da Invocazione all’Orsa Maggiore, V (tr. di Luigi Reitani, rivista)
Perché nulla ci separi, è d’obbligo il distacco;
nell’aria uguale si sente il taglio uguale.
Dell’aria son solo i confini,
di notte il vento a passi li rimargina.
Ma noi vogliamo parlare di confini,
e siano i confini pur in ogni parola:
per nostalgia li attraverseremo
e saremo in armonia con ogni luogo.
P., 40 anni, dermatologa. Ha cancellato il sesso dalla sua vita. I rapporti col marito, la masturbazione, le fantasie, le parole. Nel gruppo d’analisi, si è consolidato il copione: tutti riescono a parlare di sessualità, a condizione che lei non ne parli. Vergine sacrificale garante del desiderio inesprimibile, permette ai compagni di esprimere desideri quasi indicibili.
La talpa scava e il copione perde efficacia. La spinta sessuale del gruppo diminuisce. Aumentano l’indifferenza, il disgusto e il rifiuto di ciascuno per il/i partner, con sconcerto poi con rassegnazione. In silenzio svaniscono gli amanti, le prostitute minorenni, i sogni. La sessualità di tutti si riversa via via nella vergine, la colma, e vi si perde. P diventa sovraccarica di sesso negato,
Intense proximité è la Triennale parigina 2012 che ha il suo centro al Palais de Tokyo, appena riaperto. Contaminato forse dal vicino Quai Branly, il Palais de Tokyo presenta una riflessione su arte, confini, mondializzazione a partire dall’etnografia di Lévi-Strauss, Marcel Mauss, Marcel Griaule, Michel Leiris. Un tentativo, non sappiamo se riuscito, di mostrare l’artista che cammina lungo un confine che puó essere geografico, psichico, corporeo. Lévi Strauss era affascinato da queste linee di contatto, come scrive in Tristes Tropiques: «Je range encore parmi mes plus chers souvenirs, moins telle équipée dans une zone inconnue du Brésil central que la poursuite sur le flanc d’un causse languedocien de la ligne de contact entre deux couches géologiques». Intense proximité sarà aperta fino al 26 agosto.