Ingeborg Bachmann e il confine. Frammenti nel n. 4/15 de IL CORPO

 

Il confine attraversa tutto ciò che Ingeborg Bachmann ha scritto ed è stata.  Confine tra le parole e il mondo. Confine tra le persone, i generi, i corpi, le lingue. Confine tra gli spazi, le appartenenze geografiche, le identità molteplici. Confine al tempo stesso insuperabile e irrinunciabile. Pelle, e come la pelle involucro dell’io, diaframma e contatto, sintesi tra ferita e corazza,  pronto ad accogliere  – spesso, ad accogliere il niente – e destinato a bruciare.  Non basta essere Ondina, ‘liquido’ alter ego della Bachmann, per potersi esimere dal confine, e salvarsi dal fuoco. L’acqua non può spegnere nulla, perché è solo «un confine umido tra me e me».

Tracce del confine ovunque. Nei frammenti proposti qui. Ma anche in molti racconti del Trentesimo anno, in Malina, nelle pagine sul Muro di Berlino,  in In cerca di frasi vere, nella corrispondenza con Paul Celan e con Hans Werner Henze, in altre corripondenze private – oltre 800 lettere, frammenti ecc – non ancora rese accessibili, se lo saranno mai.  E poi ancora in quasi tutto il resto della sua scrittura.

Luogo geometrico di questo confine: il rapporto con il tedesco, lingua-madre, rinnegata senza fine, tradita, tradotta, spesso odiata, eppure così irrimediabile, ferita che non accetta rimedio o cura.

http://www.ilcorpo.com/it/rivista/dicembre-2015_56.htm

Da Invocazione all’Orsa Maggiore, V (tr. di Luigi Reitani, rivista)

Perché nulla ci separi, è d’obbligo il distacco;
nell’aria uguale si sente il taglio uguale.
Dell’aria son solo i confini,
di notte il vento a passi li rimargina.

Ma noi vogliamo parlare di confini,
e siano i confini pur in ogni parola:
per nostalgia li attraverseremo
e saremo in armonia con ogni luogo.

 

Ingeborg BACHMANN, 1959

 

 

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