Il fuori/dentro del desiderio. Una vicenda erotica di gruppo

P., 40 anni, dermatologa. Ha cancellato il sesso dalla sua vita. I rapporti col marito, la masturbazione, le fantasie, le parole. Nel gruppo d’analisi, si è consolidato il copione: tutti riescono a parlare di sessualità, a condizione che lei non ne parli. Vergine sacrificale garante del desiderio inesprimibile, permette ai compagni di esprimere desideri quasi indicibili.

La talpa scava e il copione perde efficacia. La spinta sessuale del gruppo diminuisce. Aumentano l’indifferenza, il disgusto e il rifiuto di ciascuno per il/i partner, con sconcerto poi con rassegnazione. In silenzio svaniscono gli amanti, le prostitute minorenni, i sogni. La sessualità di tutti si riversa via via nella vergine, la colma, e vi si perde. P diventa sovraccarica di sesso negato, oggetto irriconoscibile dei desideri degli altri. Ogni tanto qualcuno si permette un sussulto: ti ho sognata … mi ti scoperei … fatti un’amante … poi neanche più quello. P. accoglie, bonifica, neutralizza, spegne. Anche per lei a volte il copione  perde qualche battuta: una gonna più corta, un balletto fugace di gambe che si accavallano, si aprono e si chiudono, una scollatura insolita, qualche sogno appena più esplicito verso il compagno di gruppo L., macho fascista luciferino con un figlio fuggito nella Legione straniera. Poi intensamente verso di me, tramite analogon trasparenti. ma sotto il segno della negazione. I compagni, io, colgono, traducono, interpretano. Inutilmente. Capiscono – il gruppo, io –  che non serve e rinunciano. Intanto P. condensa in sé sempre più sesso, lo emana senza parole, dalla pelle, da un sospiro/gemito: un’aura di sesso che invade la stanza.  Il gruppo si costringe a non ‘sentire’.

Due sedute prima della sospensione di natale, L. porta un sogno in fine seduta, nella zona sicura del tempo in scadenza. Sta in un grande palazzo, una stanza immensa  (si guarda intorno). Una donna che non conosce gli si offre con insistenza, carica di sensualità. Intorno ci sono altre persone. Lo spingono a starci. È eccitato, ma qualcosa lo rende diffidente, gli incoraggiamenti del gruppo, il dono troppo facile…, lui, il macho per delega, con disagio si tira indietro.

Nella seduta successiva – l’ultima dell’anno – P. non viene: non è riuscita a spostare il turno di guardia. Anche oggi sarà di guardia, dopo la seduta. 

Per tutti stanchi racconti di fantasie subito dichiarate impossibili, avventure di sesso alle quali si è rinunciato senza sforzo. P. tace, ma ‘parla’. È vestita con cura, il vestito sopra al ginocchio, colori, un grande foulard di seta, stivali alti. Accavalla con insistenza le gambe, scopre le cosce, si inchina in avanti poi indietro, mani sul viso con gesti lenti, poi il foulard su tutto il volto scoprendolo lentamente, molte volte, un sinuoso muoversi del corpo malgrado la postura obbligata della seggiola, un ballo immobile e dunque ancora più potente. Emana sesso con una intensità mai espressa prima.

Com/patto, il gruppo non vede. Discettano di desiderio, cosa farne, cedervi come bambini liquidi o sottometterlo da bravi adulti al pietroso principio di realtà, le mogli, i figli, i soldi, il mutuo, la carriera, l’ordine del mondo, la paura del caos. Avanti a lungo così.

G., madre da pochissimo, rompe il patto. «P. è molto seducente questa sera… cosa hai… cosa vuoi dire….». P. accarezza silenziosamente gli stivali di pelle su tutta la lunghezza. L. riprende il suo sogno, e l’interpretazione ricevuta, in assenza di P.: L. delegato dal gruppo ad agire il desiderio di tutti verso P., P. che finalmente agisce la sua sessualità implosa, e L. che in sogno rifiuta la trappola del copione e del patto, proprio lui, il macho, quello che non può rifiutarsi di fare sesso. 

P. parla. Nella notte di guardia, quando non è potuta venire alla seduta, l’ultima notte prima della separazione di natale, in quei momenti di confine che favoriscono la verità del desiderio messo alle corde da tempo che finisce, sola nella sua stanzetta, ha desiderato ossessivamente di raggiungere l’infermiere che stava in un’altra stanza, così bello. Ma nel corridoio dormiva il portantino, un anziano signore molto bravo e dignitoso, con la corta barba bianca, come l’analista. Poteva svegliarsi e avrebbe capito tutto. Allora non ha fatto nulla, ma si è sentita esplosa, estatica e viva.

I compagni sembrano non aver sentito. Tornano a discettare stancamente intorno alla metafisica del desiderio. P. carezza di nuovo senza fine lo stivale sinistro, in un gesto di masturbazione che è venerazione fallica. Il gruppo sceneggia l’indifferenza e la cecità. La smagliatura tocca di nuovo a G.: «manca pochissimo alla fine della seduta ma voglio dire un sogno. Sono a casa, fuori c’è un temporale violentissimo e ho paura, Poi il vento entra dentro dalla finestra del gabinetto, è entrato, lo sento che ormai non soffia più da fuori ma da dentro e la casa sarà in un disordine terribile.»

Lo avevano tenuto fuori, il vento, in tutti i modi possibili, complici tra loro nel patto intorno a P. e con P. Ma dalle parti intime, dalle aperture cloacali il vento coartato fuori rientra nel ventre e se ne impadronisce. «Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va» (Giovanni, 3, 8). Il vento figura di dio – il desiderio – è dentro e fuori insieme, lo si crede fuori ed è già dentro, da fuori si impadronisce del dentro, dal dentro si esprime nel fuori, indifferente ai confini, ubiquo, imprevisto, visitatore che non si annuncia. Quando ti accorgi che c’è, è sempre troppo tardi. È già avvenuto. Oltre. Dentro le mura, folle du logis. (enrico pozzi)

Salvador Dalì, Vergine autosodomizzata dalle corna della propria castità (1954)

 

 

 

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