Tag: Hitler

di Enrico Pozzi –
– 12 Settembre 2016

Johann CHAPOUTOT, La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti, Torino, Einaudi, 2016, pp. 463, € 32

Nulla di ciò che si legge in questo libro è nuovo. Eppure via via il nazismo – il pensare da nazisti – diventa in qualche modo una scoperta.

Non sono nuove le articolazioni della visione del mondo nazista: la Natura come origine e legittimazione inderogabile, la Razza in quanto sua espressione storico-biologica specifica, il Popolo/Gemeinschaft come forma sociale della Razza, la Terra come sua localizzazione spaziale necessitante, il Sangue come traduzione della Razza e del Popolo in essenza vitale di corpi, la Lotta come prassi e destino, il darwinismo. E neanche sono nuove, prese una per una, le conseguenze coerenti di questa prima Gestalt su tutte le articolazioni di un sistema sociale: la trasformazione del diritto, l’attacco all’astrazione e all’universalismo,

di Enrico Pozzi –
– 19 Settembre 2012

Ian KERSHAW, The End: Hitler’s Germany 1944-45, London, Allen Lane,  2011, 596 pp.

Il 1 maggio 1945, le truppe russe raggiungono Demmin, una cittadina di 15mila abitanti nell’ovest della Pomerania. Seguono i consueti saccheggi, gli incendi delle case, il “Frau komm” degli stupri di massa. Niente di più e niente di meno di quanto stava accadendo su tutto il fronte Est della guerra.

Ma a Demmin nei tre giorni successivi oltre 900 abitanti si suicidano, talvolta dopo aver ucciso i familiari. Un uomo uccide la moglie e i tre figli, lancia un panzerfaust contro i sovietici e si  impicca. Una famiglia di 13 persone si uccide. Seguita da un ragazzino in bicicletta, una madre spinge una carrozzina con due bambini verso una quercia al confine del borgo, avvelena i tre figli e tenta di impiccarsi a un ramo dell’albero. Altri si annegano nei due fiumi locali, oppure si sparano, si buttano dai tetti.

50 anni prima, in quello straordinario classico della sociologia nascente che è Le suicide (1897), Durkheim aveva affrontato brevemente i suicidi collettivi, citando tra gli altri il caso di Masada raccontato da Giuseppe Flavio nelle Guerre giudaiche. Li aveva classificati come una variante estrema del suicidio altruistico, la terza e la meno approfondita modalità sociologica del suicidio dopo quello anomico e quello egoista.  Nel suicidio altruistico non agisce l’ipertrofia dell’io rispetto al vincolo sociale indebolito, ma piuttosto la sua irrilevanza: l’eroe in guerra va a morte certa perché il suo io ridotto alla quasi inesistenza è trasparente al volere del gruppo, e si sottomette ai suoi imperativi anche a costo di morire. Il suicidio collettivo – che Durkheim chiama anche suicidio obsidionale –  porta all’estremo questa logica di dissolvimento dell’individuo nel legame sociale, attraverso quello che Freud avrebbe chiamato “sentimento oceanico” in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921):  sentirsi goccia dispersa nell’oceano sociale.

Siamo di fronte a situazioni microsociali:  900 morti di Demming, i 3-4mila giapponesi di Saipan quando sbarcano i Marines, i quasi mille morti del People’s Temple di Jim Jones nel novembre 1978.  Ma che dire quando un’intera nazione sembra pronta all’autodistruzione?

Questo è il problema di fondo posto da Ian Kershaw nel suo ultimo, bellissimo,

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