L’economista e il rasoio di Ockham. Laude.

Adesso tutti a dare addosso agli economisti.

Intelligenze eccelse come il Colbert della Valtellina Tremonti o come il Pastore Tedesco di San Pietro.

E poi personaggi più modesti: l’ultimissimo Dahrendorf prima di morire, Serge Latouche annata 2005 (‘scoperto’ da Boringhieri 5 anni dopo). E ancora editorialisti, giornalisti, esponenti di corporazioni concorrenti sfigate come i sociologi e gli psicologi, economisti risentiti in cerca di popolarità, letterati, poeti, storici, attori, eroi del no profit, altri eroi dell’antimodernità, dell’anti-TAV, dell’antinucleare, del NIMBY (Never In My Own Backyard), sansepolcristi delle terapie alternative e della medicina ‘dolce’, le armate sanfediste dell’irrazionale. Bella congrega. La colpa degli economisti: non aver previsto la crisi. Si potrebbe scrivere un libro divertente con le profezie fallite degli storici, degli esperti di movimenti collettivi, degli strateghi, dei comunicatori e massmediologi, dei webbaroli (dove sono finiti i mondi virtuali e le seconde vite d’antan?). O dei sociologi (una che mi sta particolarmente a cuore: negli anni ’60, le trionfanti analisi sul prossimo avvento dell’era del tempo libero, la civilisation des loisirs in cui sarebbe lavorato sempre meno avendo sempre più tempo da ‘spendere’: ah sì? ),

Non c’è scienza umana o sociale che abbia azzeccato una qualche profezia puntuale: esempi del contrario? Forse perché il comportamento dei sistemi umani complessi (individui, coppie o grandi gruppi) eccede la linearità tendenziale delle previsioni. O forse per la solita questione della profezia che si autorealizza: basta fare una profezia – ora si chiama previsione probabilistica- su un aspetto futuro, e la profezia stessa modifica il futuro. Se un economista avesse previsto la crisi finanziaria, la sua previsione sarebbe stata una concausa e un acceleratore della crisi stessa.

Si capisce che papi e politici se la prendano con gli economisti. A loro e solo a loro spetta il privilegio della profezia. Ottengono potere, sesso, soldi visibilità e gloria per correre questo rischio. Ecco perciò una prima buona ragione: gli economisti sono minisciamani falliti, e dunque perfetti capri espiatori al posto degli sciamani che contano, quelli che possono anche agire.

L’altra ragione è più radicale. L’economia fa tante cose brutte, poco adatte alle anime nobili, agli spiriti teneri, agli sbrodoloni dei buoni sentimenti e delle dolci collusioni, a quelli che coltivano i pensieri alti. Per esempio l’economia trasforma ogni qualità in quantità: tutto diventa, deve diventare, numero. La bontà, il dono, l’amore, la dedizione, il sacrificio, l’amicizia, il sesso? Numeri. Valore d’uso? No, solo il freddo e misurabile valore di scambio. Un bambinetto adorato non è forse irriducibile a un valore economico? Una sociologa di Princeton ha scritto un libro sinistro – Pricing the priceless child – su come si è giunti a calcolare il risarcimento in denaro per un bambino ferito, traumatizzato o morto.

L’economia proietta su ogni aspetto della realtà la razionalità economica calcolabile del rapporto tra mezzi e fini. E’ una luce fredda cui nulla sfugge. Il linguaggio dell’economia investe ogni cosa. Termini come profitto, guadagno, risparmio, amministrare, gestire, investire, rendimento, inflazione, consumo ecc ecc vengono usati per i corpi, per le emozioni, per gli affetti, per il tempo da dedicare all’amato, per il cibo che si mangia o si cerca di non mangiare, per giocare, per le scelte etiche e per i progetti vitali sul futuro, per fare sesso, per descrivere un rapporto, per spiegare  come funziona la mente.

Alcune delle menti più critiche del pensiero occidentale si sono appoggiate all’economia per “dare l’assalto al cielo” del mondo così com’è. Marx ovviamente. Il Freud del “principio economico” come base della vita psichica. Bataille e la antieconomica “dépense”, che è pur sempre figlia di una logica economica.

L’economia  rimane un potente  “rasoio di Ockham”  contro il carnevale delle emozioni che ci circonda, e  contro chi lo usa per annebbiare le menti a colpi di irrazionalismo. Ridurre, semplificare, scarnire, eliminare. Impietosamente e con rigore. Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora. E ancora: entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem. Fare economia contro l’ipertrofia del discorso del potere. Chi ha da salvare la faccia, o la sua maschera di potente, ha paura dei rasoi e dei pochi monaci che li impugnano sul serio.

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