L’irresistibile decadenza di due artisti gigioni: Marina Abramovic e Paul McCarthy (più Lady Gaga nuda)

Già da anni Marina Abramovic ripete stancamente il kitsch di se stessa, per se stessa e per i true believers di cui si circonda. Gli accoppiamenti con gli scheletri e con la terra alla Bicocca nel 2006 (la patetica Balkan Epic; vedi il Diario che ne parla) avrebbero dovuto mettere in guardia. Ma la carica libidica del suo corpo ancora riusciva a nascondere l’ovvio, la crisi creativa, la mancanza di idee, la povertà della narrazione. Ora il corpo ha dieci anni di più e non se la passa tanto bene, l’eros langue, il voyeurismo fatica a scattare. Servono idee per restituire carne alla carne. Ma la carne tace, e resta solo il cerebralismo di riti/performance senza verità, sine ira et studio, da burocrati del narcisismo. Se ne stanno accorgendo tutti. Alla Serpentine Gallery di Londra, 512 Hours è sprofondato nella noia senza speranza, con un’artista persa nella propria immagine di se stessa e perciò lontana da se stessa.  Le sue ultime performance/installazioni sono tentativi stanchi di verificare la propria presa carismatica su un pubblico di seguaci ridotto a specchio delle proprie brame. Un pubblico sempre più ristretto e blasé, salvo qualche giuggiolone/a che ancora si mette a piangere mentre conta granelli di riso o siede impettito/a aspettando che dalla Abramovic venga ‘energia’. Non viene niente, salvo per qualche coscienza infelice alla ricerca di santoni e di estetiche ragioni per odiare il corpo.

Per i distratti che si sono persi la performance di Londra, c’è Sydney a luglio. La Abramovic sarà lì per diversi giorni, nel Kaldor Public Art Project, a ripetersi. Chi non si può permettere il viaggio si consoli con il video di Lady Gaga che si sottopone con Marina in persona al cosiddetto Metodo Abramovic. Esilarante. Da non perdere.

 

Lady Gaga e il Metodo Abramovic: il rito di un furto d'anima

 

Anche Paul McCarthy vuole épater le bourgeois. Qualsiasi persona di media intelligenza sa che non è possibile. L’aveva già scritto Marx: una caratteristica centrale del borghese è che tutto assorbe, tutto elabora e tutto trasforma in merce. La rincorsa è inutile: quando si crede di averlo finalmente stanato nel ribrezzo, nella vergogna, nell’orrore o nel desiderio, ci si accorge che no, lui quella cosa lì l’ha già comprata. Di tutte le avanguardie artistiche del secolo scorso e di questo secolo, solo il Surrealismo è riuscito a conservare l’ombra di uno scarto irriducibile tra se stesso e la sua riduzione a merce. Ma il il Surrealismo lavorava sul crinale tra l’inconscio e il desiderio. Gli stanchi decadenti che pretendono di sorprenderci e inquietarci si aggrappano al più banale dei supporti, il più generale, il meno individuale, cascame di una specie e di un genere: il corpo/Leib, e dato che questo è più difficile da gestire, ecco allora il corpo/Koerper, la carne stupida.

Paul McCarthy ha percorso senza ironia questa strada facile. Le merde monumentali, l’albero sex toy anale a Place Vendôme, l’endiadi papà/figlio Bush che si accoppia con i maiali e fa altre cosacce, il defacement porno-scatologico della favola di Heidi (insieme a Mike Kelley), le installazioni più o meno repellenti del proprio corpo, i corti in cui usa il pene per dipingere ecc ecc ecc. So what. Nulla che non sia già stato fatto. molto di più e con molta più verità. Il Wiener Aktionismus di Nitsch, Brus, Muehl e Schwarzkogler. Vito Acconci che si masturba sotto il pavimento finto di una galleria newyorchese, con il pubblico che gli cammina sopra e gli altoparlanti che rimandano i suoni e i gemiti della cosa. Pyotr Pavlensky che inchioda il suo scroto al pavimento della Piazza Rossa in protesta con il neo-regime autoritario di Putin. Millie Brown che dipinge vomitando sulla tela ecc ecc ecc ecc ecc.  E persino il timorato di dio Spoerri, che rappresenta a ritroso il percorso di un grumo di merda dal gabinetto alla mucca della cui carne è teoricamente composto…

A questo punto i disegni e quadri dell’ultima mostra di McCarthy a Londra, dal suo solito gallerista Hauser&Wirth, sono roba da adolescente sfigato sulle mura del cesso della scuola. Grandi pannelli tela/gesso di oltre 3x2m, colori acrilici, altri materiali (collage ecc). Dejeuner sur l’herbe: una donna defeca nella bocca di un uomo in erezione, in un contesto di foto da riviste porno e riproduzioni per l’appunto del Dejeuner su l’herbe, evocato  da due figure sedute. Oppure WS, the creative art of, l’universo di Walt Disney/Biancaneve (WS sta per White Snow) espresso in un’orgia tra uomini con consueto accompagnamento di defecazioni, rapporti orali, foto porno e foto di Walt Disney. Oppure ancora i due pannelli Bar Singularity: le solite sequenze di donne che defecano, altre che mangiano l’appena citato materiale da ciotole, uomini in erezione ecc. So what? Noioso, banale, già visto, già fatto. Se c’è qualche bourgeois in giro che si lascia épater da questa roba, fa un po’ pena. E pena fa questa deriva finale di McCarthy.

Il corpo è una trappola. Sembra autoevidente. Pretende di parlare da solo. Produce senso che si spaccia per immediato. La merda, il cazzo, il sesso, la castrazione, i cadaveri e i perinde ac cadaver, le viscere, i fluidi organici, le aperture, l’interno svelato, insomma la solita roba dei corpi. I body artist alla McCarthy e compagni credono che tutto questo basti. Pensano di poter fare a meno dello scarto introdotto dalla intenzione estetica e, prima ancora, dalla struttura triadica del segno, la frattura che rende il significante irriducibile al referente, la parola mai aderente alla cosa. A modo loro perseguono l’utopia mistica o la fatalità psicotica di una parola che sia la cosa, ma senza consapevolezza alcuna del loro progetto e della sua impossibilità. Così franano nella organicità dei corpi – del Koerper -, all’inseguimento esagerato e inutile di una autenticità originaria della carne che non il Koerper ma il Leib rifiuta loro con un sorriso di scherno. (enrico pozzi) 

Paul McCarthy, Dejeuner sur l'herbe, 2014

Paul McCarthy, WS. The Creative Art Of, 2014

Paul McCarthy, Bar Singularity (pannello 1), 2014

Paul McCarthy, Bar Singularity (pannello 2), 2014

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