Di chi è il corpo? Utero in affitto, thinkpol, immacolata concezione e altro ancora

Il giorno dell’immacolata concezione mi pare quello giusto per discutere razionalmente di utero in affitto, o della più ‘igienica’  “maternità surrogata”.

Imperversa la thinkpol orwelliana, la polizia del pensiero. Basta niente, e ci si ritrova omofobi, o criptofemministi, o lgbt onorari, o patriacalfamilisti, o crociati antigender, o body snatcher o innamorati-dell’onnipotenza-dell’amore, o legge-e-ordine-contro-l’amore ecc… Subito etichette. Di pensiero senza etichette: poco, percepito con fastidio. Però proviamoci, a costo di riuscire complicati e noiosi.

Tanto per acquietare subito i poliziotti del pensiero: non intendo schierarmi pro o contro l’utero in affitto. Voglio solo capire quale statuto sociale del corpo esso comporta. Quale visione generale del corpo contiene.

Il cosiddetto “utero in affitto” è un caso particolare di una microsituazione sociale con due soggetti: chi mette in qualche modo a disposizione il proprio corpo (in attesa di tecnologie più avanzate di solito è una donna), e chi chiede a qualcun altro di metterlo a disposizione, chi ‘affitta’ e chi ‘prende in affitto’.

Per tutti e due i soggetti lo stesso problema più generale: di chi è quel corpo? Solo dell’individuo che sta nella sua pelle, e che può farne ciò che vuole con se stesso e/o con altri? Oppure è anche (per alcuni: soprattutto) un corpo sociale, che rende conto di se stesso alla società e di cui la società è tenuta ad occuparsi, prendersi cura, modellarlo. proteggerlo, mutilarlo, sacrificarlo ecc?

Fin dove può spingersi chi acquisisce (non ho detto ‘acquista’, che è un caso particolare di acquisizione) il corpo consensuale di un altro? C’è un confine socialmente regolato, oppure l’unico confine è il consenso individuale? Posso ‘acquisire’ per es. la sofferenza o addirittura la vita dell’altro se quest’altro è consensualmente pronto a renderla disponibile in un libero contratto? Oppure è legittima un’interferenza vincolante, regolatoria e normativa del sistema sociale in questo contratto assoluto tra individui?

Dal punto di vista di chi ‘affitta’, quanto del proprio corpo può alienare? Per quanto tempo? Per quante volte? A chi? E quel corpo è veramente ‘proprio’ e basta, oppure è anche o soprattutto un corpo sociale, socialmente costruito, sostenuto, protetto, garantito, e dunque debitore di se stesso al sistema sociale? Posso fare ciò che voglio del mio corpo in quanto integralmente mio, oppure devo pensare che esiste un limite e che il possesso non implica proprietà? E cosa avviene quando il possesso e la proprietà si scindono totalmente? Di chi è il mio corpo morto? Ancora mio, gestito e ‘venduto’ ancora da me o da chi per me? Oppure res nullius, carne solo sociale?

 Dal punto di vista di tutti e due i soggetti: quanto ‘vale’ ciò che affitto o prendo in affitto? Puro valore di scambio, quantità pura misurabile con il denaro in quanto marxiana “merce delle merci”? Puro e non misurabile valore d’uso, qualità pura? Ibrido fluido di valore d’uso e valore di scambio, di cui il ‘mercato’ determina il punto d’equilibrio in nome della domanda e dell’offerta?

Il cosiddetto “utero in affitto” o in donazione transitoria è solo un caso particolare della più generale concessione/acquisizione di un corpo o di parti di esso in comodato d’uso gratuito/pagato, in base ai propri diritti sul proprio corpo vivo o morto, e a quanto di questo corpo è legittimo assoggettare a norme sociali. 

Alcune fattispecie di questa configurazione formale generale: l’utero in affitto (o in donazione transitoria), la vendita o donazione di prestazioni sessuali, la vendita o donazione di propri organi o prodotti corporei (vendita di rene, fegato, pelle, midollo spinale, latte in baliatico, sangue, muscolo, sperma, ovulo ecc), la vendita o donazione post mortem di organi vitali e non (donazione e/o vendita da espianto di cadavere), il proprio cadavere come res nullius di cui la società può fare ciò che vuole, il suicidio assistito e il suicidio tout court, l’eutanasia.

Un elenco pedante e incompleto. Lo faccio perché mi colpisce l’incoerenza di alcune posizioni. Tra quelli che difendono la legittimità dell’utero in affitto, molti si sono espressi in modo molto negativo verso la concessione monetizzata del proprio corpo per procurare piacere a terzi (detta a volte prostituzione); o verso la vendita e l’acquisto di organi o prodotti del corpo. Altri che si oppongono all’utero in affitto hanno parlato e scritto a lungo di un dovere di concessione del proprio utero e corpo a fini extra-individuali e sociali (ad es. nella maternità e più ancora nella maternità a rischio fisico/psichico per la madre, nel rifiuto dell’aborto ecc). 

Eppure, negli uni come negli altri, la zuccherosa retorica dei buoni sentimenti, degli affetti, dell’amore-che tutto-purifica-e-nobilita, compreso l’uso del denaro, nell’amore etero- e omosessuale. Due esempi? Sul blog di Giovanna Cosenza, di solito commentatrice attenta: www.giovannacosenza.it, post del 7 dicembre 2015. O anche il Corriere della sera del 7 dicembre con vari articoli, in particolare quello di Elena Tebano (http://27esimaora.corriere.it/articolo/ho-messo-al-mondo-i-loro-tre-figli-e-ora-ci-sentiamo-una-famiglia/). Patetiche vignette narrative di persone che comprano/vendono corpo e valore di corpo, oppure che si rifiutano fortemente di comprarlo/venderlo, in nome dell’amore come legittimazione magica e purificante dei comportamenti, e non come weberiano orientamento razionale allo scopo.

En passant: che ne facciamo del cervello? E’ pensabile che, come l’utero, anche questo organo del corpo possa rientrare in un comodato d’uso gratuito o pagato, a termine o duraturo? Come si configura il vendere proprio cervello o acquisire il cervello altrui? Di chi è ciò che il cervello produce? Come si configurano possesso e proprietà di un cervello? Valgono per il cervello le legittimazioni che valgono forse per l’utero? Come e perché sì o no? Non sono domande peregrine.

Per chiudere. Riportiamo la discussione sull’utero in affitto lontano dall’omofobia/omofilia. Riagganciamola al rapporto corpo/sistema sociale, ai loro confini reciproci, alle funzioni e limiti della norma rispetto ai territori dell’Io (Goffman può servire anche qui…), alla potenza razionalizzante del diritto, alla eventuale formalizzazione e gerarchizzazione delle varie fattispecie elencate sopra, non tutte eguali a vario titolo. Ecc. Certo così è tutto più noioso, pedante e freddo. Ma forse più lucido.

Dal blog di Giovanna Cosenza, 7 dicembre 2015

 

L'articolo di Elena Tebano, Corriere della sera, 7 dicembre 2015

 

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