La fine del carisma e il ritorno della storia: Gabriel García Márquez dice la fine del berlusconismo

Gabriel García Márquez ha scritto, con L’autunno del patriarca, una delle più potenti rappresentazioni narrative delle logiche, delle grandezze e delle molte miserie del potere carismatico, apparentemente in salsa sudamericana. Poi un giorno il dittatore muore, e c’è la chiusa bellissima del libro: “… perché noi sapevamo chi eravamo mentre lui restò senza saperlo per sempre col dolce sibilo della sua ernia di morto vecchio, troncato di netto dalla stangata della morte, […] estraneo ai clamori delle folle frenetiche che scendevano nelle strade  cantando gli inni di gaudio della notizia gaudiosa della sua morte ed estraneo per sempre alle musiche di liberazione e ai razzi di gioia e alle campane di giubilo che annunciarono al mondo la buona novella che il tempo incalcolabile dell’eternità era finalmente terminato” (op. cit., in Opere narrative, II, Milano, Mondadori, 2004, p. 371).

Questo vale per la fine del berlusconismo, comodo alibi per tutti, pretesto attraverso il quale una società civile e una élite politico-economica hanno potuto acquietarsi nel senza tempo della immobilità. La società italiana, in tutte le sue articolazioni, trova adesso davanti a sé l’opportunità  di uscire dalla eternità magica del sole nero del carisma, e di entrare di nuovo nella storia, nella collaborazione, nel compromesso, nel difficile negoziato tra le diversità, nel rischio: in altri termini, nella realtà e nel progetto di una identità collettiva tornata a subirsi e desiderarsi viva, forse. Forse.

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