La solita rozza paura del carisma, ovvero il presunto orribile corpo politico del populismo

Su La Repubblica del 3 aprile, la solita rozza paura del carisma (di Berlusconi). Tocca a Carlo Galli officiare lo stereotipo. Il punctum è l’attacco di Berlusconi alle forme della democrazia italiana del dopoguerra. Lo strumento dell’attacco è il corpo del capo, cioè il modesto involucro carnale di Berlusconi, scagliato contro il “corpo politico sovrano” della democrazia parlamentare italiana.

La chiave interpretativa è di seconda mano. Kantorowicz, Freud, forse Marc Bloch, forse un po’ di Weber, un altro po’ di frontespizio del Leviatano, ma mai citati, probabilmente letti tramite i Sergio Luzzatto, magari i Sergio Bertelli, o meglio ancora i Belpoliti di questo mondo. Corpo del capo come corpo mistico, il  capo come sintesi di Molti nell’Uno, e il freudiano “Eros che tutto tiene insieme” come collante del vincolo sociale.

Frasi alla lettera viste altrove, in luoghi che Galli si dimentica di ricordare. “La proposta politica di Berlusconi è che la sua  stessa persona, il suo stesso corpo – trasfigurato dall’apoteosi mediatica e virtuale – realizza la fusione dell’Uno coi Molti, e dei Molti con l’Uno, attraverso l’Amore. […] il Corpo mistico del Capo, che è al tempo stesso re e popolo, è la vivente e concreta figura di una moltitudine che in lui vede rappresentata se stessa, che in lui ama se stessa”.

Tutto questo al servizio dei “fini delle rivoluzioni italiane”: “cambiare tutto perché tutto resti com’è”. Dunque Berlusconi come incarnazione di un contenuto magico e arcaico del potere, messo al servizio di un progetto conservatore postmoderno intorno ad un nucleo populista. Contro queste “fascinose magie” la sinistra deve ritrovare il senso della propria visione politica e della propria opposizione.

Vecchia storia. Il carisma come regressione dalla ragione politica alla politica come emozioni primitive, dal contratto al patto. L’identificazione che sostituisce il consenso ragionato. Il corpo, la pancia e l’ascolto al posto del logos, della testa e dello sguardo. E’ il tradizionale anatema degli illuminati contro la personalizzazione della politica, magari in nome di una forma partito che nella realtà è ormai un fantasma pallido. E Berlusconi come il portatore di questo “volto demoniaco del potere”, per riprendere un bel titolo di anni addietro.

Pensiero semplice, adatto alle cerimonie di appartenenza della sottocultura politica risentita che si riconosce nel glorified tabloid di Scalfari/De Benedetti. Pensiero che permette subito di sentirsi Noi, cioè quella cosa spaventosa, la follia del sociale, che dovrebbe mettere paura a chiunque dotato di buon senso e di memoria.

La discussione degli anni Settanta e Ottanta sulla personalizzazione del potere politico era stata una cosa seria. Se ne erano colti gli sviluppi e analizzate le evoluzioni. Soprattutto ci si era chiesti il perché. Riduzione della complessità cognitiva dei processi storici e sociali attraverso la reductio ad unum di un individuo. Ripristino delle emozioni nello spazio politico. Rilancio dei valori rispetto alla ragione economica. Recupero della potenza trasformativa dell’immaginario sociale e dell’inconscio collettivo. Rivalutazione degli individui – e dei veri o presunti grandi individui – dopo la sbornia delle masse e delle socialità multitudinose. Ritorno del corpo, dei corpi, sulla scena metafisica della rappresentanza politica.

Discussione percorsa da una sensazione sofferta: la leadership carismatica rompe la “gabbia d’acciaio” weberiana, e costituisce un motore forte del cambiamento sociale e politico nelle situazioni storiche sclerotizzate. Ovvero, forse è talvolta veramente la “potenza rivoluzionaria creatrice” della storia. Un dubbio, disturbante ma fecondo, che rischia di seppellire l’anima stessa del liberalismo.

Aggiungiamo un altro dubbio: il processo sociale abnorme che Galli attribuisce al populismo postmoderno di Berlusconi non è forse il modo in cui ogni gruppo, dalla coppia alle grandi masse, si costituisce come gruppo e si fa esistere come un Noi? Le strategie identificatorie che Galli vede all’opera nel tenebroso disegno e nella prassi volgare del “venditore” sono le stesse che fanno vivere e funzionare qualsiasi aggregato sociale. Non c’è gruppo senza collante identificatorio, senza corpo mistico in cui l’individuo possa provare l’ebbrezza del “sentimento oceanico”. Galli descrive  come tipici del Berlusconismo e del populismo post moderno processi e modi che vediamo ovunque degli esseri umani pretendano di darsi una identità transindividuale. Solo una cecità neanche ideologica e culturale, ma umana e scientifica, gli impedisce di sentire l’identificazione nascosta dietro ogni identità, a destra come a sinistra, nei progetti conservatori e reazionari per la ‘gente’ come in quelli liberal-progressisti per il ‘popolo’.

Modesta proposta: il glorified tabloid chieda un medianico articoletto a Max Weber, e regali Luciano Cavalli, Il capo carismatico, Il Mulino, a Carlo Galli. Si parva licet.

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