Corpi moderni e post moderni. Il sociologo Nicola Porro ricostruisce qualche Grande Narrazione italiana

Nicola PORRO, Corpi e immaginario. Memoria, seduzione e potere dal Milite Ignoto al Grande Fratello, Acireale-Roma, Bonanno, 2010, pp. 239.

 Tra molto ciarpame, finalmente un contributo della sociologia italiana che rende giustizia alla eccedenza del corpo rispetto alle categorie che pretendono di inglobarlo e risolverlo. Sociologia del corpo? Giriamo il problema ai guardiani delle discipline. Per noi semplicemente un libro bello da leggere, intellettualmente avventuroso, e naturalmente anche criticabile.

Nicola Porro si occupa da sempre di corpo, ma nella forma particolare del corpo sportivo, che è uno stato-limite della costruzione e rappresentazione sociale del corpo. Ora finalmente si è deciso ad uscire extra moenia, verso il corpo politico e il corpo spettacolo: un esito che lasciavano prevedere sia alcuni saggi sparsi, sia gli spostamenti progressivi di prospettiva nei suoi volumi di sociologia sportiva.

Corpi e immaginario è organizzato intorno allo spartiacque delle Grandi Narrazioni, termine che Porro deriva da Lyotard, e che si contrappone al simmetrico delle micronarrazioni. Nella Prima Parte, si esibiscono alcune Grandi Narrazioni corporee della 1a metà del secolo scorso, tre corpi sociali che sono ineluttabilmente anche corpi politici: il Milite Ignoto, Padre Pio, e Mussolini.

Il Milite Ignoto rielabora un saggio già pubblicato anni addietro, e produce le pagine più ricche e avvincenti del volume: la narrazione segue il filo conduttore cronologico di una vicenda che è per così dire un ready made narrativo, con tutte le componenti di una ’fiaba’ esemplare di Propp: l’Eroe, il Viaggio, il Riconoscimento ecc sullo sfondo di una drammatica vicenda collettiva di corpi sopravvissuti e di corpi morti, di corpi individuati e di corpi anonimi: una sorta di dialettica corporea tra il dissolversi dell’individuo nell’anonimato del sociale, e il tentativo dello stesso individuo di tornare ad una identità propria attraverso il ripristino visibile del suo corpo/Io. Qui Porro introduce la maggior parte dei concetti-chiave del suo discorso: il rapporto tra memoria, immaginario e rito; il mnemotopo; la religione politica corporale; la “comunità immaginata” di Anderson; il mito; il Leib freudiano (e dunque il desiderio); il corpo collettivo; la costruzione sociale del corpo.

Torneremo più oltre su questo apparato concettuale, che non ci convince fino in fondo. Ma qui ‘funziona’ bene. Con un limite: negli ultimi due anni il corpo di quel povero cristo è tornato ad essere moneta simbolica e politica sonante, spendibile e usata senza pudore: altro viaggio del treno, commemorazioni varie, riesumazione mediatica nell’ambito del 150nario, benedizione istituzionale di Governo e Presidente ecc (vedi ilcorpo/diario-paranoico-critico/1921-2011-90-anni-dopo-litalia-ha-ancora-bisogno-di-quel-cadavere/). Porro avrebbe dovuto spingersi fino a quest’ultima ‘resurrezione’, esplorarne le differenze, verificare cosa ha da dirci sullo stato della coesione identitaria del nostro paese ora, e verificare se i concetti usati per quella cerimonia collettiva si adattano bene a quest’ultima recente messa in scena della invenzione della tradizione e di un uso politicamente disperato della memoria.

Più sofferti gli altri due corpi. Padre Pio non è il Milite Ignoto, non gode di quella imponente legittimazione di “corpo collettivo” elaborata da una cerimonia/Nazione. Corpo più circoscritto, meno esemplare, chiuso tra mura più anguste, protagonista immaginario significativo solo per alcuni segmenti del corpo sociale. Difficile leggerlo fino in fondo come sartriano “universale particolare”, contrazione sintomatica di una società e delle sue dinamiche in una vicenda individuale. Detto semplicemente: parla meno, esprime meno ricchezza cognitiva.

Diverso il caso del corpo di Mussolini, che è ‘il’ corpo della società italiana del ‘900. Qui francamente l’analisi è troppo rapida, a grandi categorie e su fonti secondarie. Ben altro c’è nel corpo del Duce che non i tre corpi di cui ci parla Porro; e, aggiungiamo, ben altro c’è rispetto al volume di Luzzatto, che ancora attende la critica dura che merita, e non le critiche rosee alla De Luna. In quanto corpo politico e sociale, e in quanto protagonista ancora attivo della memoria corporea e dello schema corporeo della società italiana di oggi, il corpo di Mussolini ancora aspetta di essere cognitivamente disseppellito, e dunque più definitivamente sepolto.

 

Nella Seconda Parte entrano in scena le micronarrazioni, Com’è (forse) giusto, la relativa unità e coerenza categoriale e narrativa – ma questa distinzione ha veramente senso? –  della Prima Parte viene meno. Navighiamo tra eventi di massa eppure minori, configurazioni fruste del sociale e dell’immaginario che non aspirano più alla storia e si contentano della scena. Radiocronache sportive, figurine di calciatori, gli alieni di Orson Welles, le maggiorate del cinema italiano del dopoguerra, Liza Lyon, Moana Pozzi, la body art, una breve e poco convincente incursione dalla parti della leadership politica nell’età dello spettacolo. A far da tentato filo conduttore alcune categorie nuove: seduzione, desiderio. Già, nuove. Ma viene da chiedere a Porro: sicuro che queste categorie non fossero presenti, insieme ad altre che non ha usato, anche nelle Grandi Narrazioni precedenti? Se le avesse introdotte, con altre su cui torneremo, anche per il Milite Ignoto, Padre Pio e Mussolini, la sua analisi sarebbe andata in direzioni impervie per un sociologo, eppure straordinariamente fertili.

Viene poi il capitolo clou sul Grande Fratello come panopticon corporeo della ipermodernità. Divertente, ben scritto (come del resto tutto il libro, e questo è complimento non da poco se si pensa alla prosa “sorda e grigia” da chierici-burocrati che caratterizza la nostra sociologia). Utile in alcune belle sottoanalisi, come ad es. là dove Porro usa Elias e il problema delle buone maniere come grimaldello euristico.  Stimolante quando la casa trasparente per individualità diafane diventa microcosmo sociale esemplare. A tratti iperinterpretativo, ma in fondo la ipermodernità se lo merita… Attento a sottolineare i corpi dei protagonisti come corpi integralmente prevedibili, e dunque come modalità nuove di corpi collettivi. Insomma, con il Milite Ignoto, il capitolo più bello del libro.

Qualche osservazione critica. La più importante riguarda il sistema delle categorie. Porro ne menziona poche: rappresentazione sociale, carisma, costruzione, memoria, per fermarci alle più importanti e ripetute. Su nessuna si ferma seriamente e il risultato è una vaghezza concettuale che non aiuta le narrazioni interpretative. Qualche esempio.

“Rappresentazione sociale” è un concetto chiave della psicologia sociale europea, tra l’altro uno dei pochi in grado di controbilanciare la smania sperimentalista dell’influenza anglo-sassone, e in grado di restituire il sociale alla psicologia sociale. Ma poi Porro la definisce così: «Una r.s. è prodotta dall’intreccio fra immagini mentali che riproducono aspetti e funzioni del corpo e icone (Farr e Moscovici 1989). Queste ultime denotano rappresentazioni  esplicite, concrete e tangibili. Capaci di fissarsi nell’immaginario di massa, come il corpo macchina ecc ecc» [p. 13]. Siamo lontano dalla complessità di questa categoria, per altro niente affatto ancorata in partenza al corpo, e che ben altra ricchezza euristica avrebbe potuto dare alle analisi del volume.

Lo stesso può dirsi per “costruzione” e “carisma”. “Costruzione” è una categoria povera perché lineare e deterministica (del tipo: “la società costruisce il corpo”),  e dopo averla criticata nel 1994 ho proposto di sostituirla, sempre a proposito del corpo sociale, con “costrutto”, termine euristicamente ben più articolato, non lineare e fecondo. Poi anni dopo R. Stella ha scritto (male)  di sociologia del corpo usando “costrutto” ma intendendo la ben più banale “costruzione”. Porro ha fatto la stessa scelta un po’ pigra.

“Carisma” pone un problema più ampio. Innanzitutto dopo Weber il concetto di carisma ha avuto un percorso accidentato ma arricchente, in particolare quando ha dovuto fare i conti non con le grandi leadership carismatiche, ma con i microcarismi quotidiani, compresi quelli legati allo star system grande e piccolo. L’apporto più utile è stato il “carisma diffuso” di Edward Shils (Charisma, Order, and Status, «American,Sociological Review», Vol. 30, n. 2/1965, pp. 199-213), che qui sarebbe risultato particolarmente utile. Ma il punto chiave è un altro. Già Weber aveva posto quasi en passant un interrogativo fondamentale: la credenza nelle virtù straordinarie del personaggio carismatico non è ovvia ma va a sua volta indagata. Occorre chiedersi, con gli strumenti adatti, di cosa è fatto il consenso interiorizzato alla leadership carismatica, grande o piccola, concentrata in un ‘capo’ o diffusa tra microrappresentanti frusti. La sociologia non dispone di questi strumenti, e dovrebbe andare a prenderli in prestito da altre corporazioni disciplinari: la storia, il diritto, la psicologia sociale ecc. Diciamo eufemisticamente che non pare molto disposta a farlo, e neanche il sociologo Porro.

Il risultato è un punto cieco del libro, in due direzioni. Cecità psicologica: come ‘funzionano’ i corpi che Porro analizza? È vero che parla di Leib o di ‘seduzione’ ecc. Ma di cosa è fatto il Leib? Come, attraverso quali processi e dinamiche, agisce la seduzione? Occorreva un modello psicologico-sociale del vincolo capo-folla, star-audience, santo-discepolo. Il modello non c’è, neanche per allusione.

Poi, la cecità rispetto alla storia. Porro fa qualche scarsissima allusione a Marc Bloch o al Kantorowicz de I due corpi del Re, ma non li recupera come modelli euristici. Peccato, perché sia il modello di Kantorowicz sia la lunga discussione critica e storica che  gli è seguita avrebbero potuto essergli molto utili nell’organizzare intorno a un tipo ideale e lungo un filo rosso coerente il leader politico come la star, il Milite ignoto come lo pseudo-martire, gli smandrappi de Il Grande Fratello e la Voce narrante del corpo sportivo ecc. Penso per es. a quanto le analisi dei riti di passaggio e di detronizzazione della regalità (Ralph Giesey, ma anche Bertelli e Grottanelli: vedi sotto) avrebbero potuto fornire griglie euristiche potenti ai riti del povero cristo ignoto ma anche a quelli, in apparenza così distanti, della casa del Grande Fratello.

Ed è giunta l’ora di quello che Giordano Bruno chiamava lo “sterco dei pedanti”. Porro ha fatto una carriera accademica, e dunque non può sfuggire alle regole del gioco dell’accademia, perché, magari controvoglia, non possono non essere le sue. Molte delle (poche) cose valide della sociologia italiana intorno al rapporto corpo/società non stanno nelle note e in bibliografia (per tutti, i volumi di Boni, direttamente pertinenti ai temi del libro). Su alcuni dei temi toccati mancano fonti importanti (ad es. per il Milite ignoto: V. Labita, Il Milite ignoto. Dalle trincee all’Altare della Patria, in S. Bertelli – C. Grottanelli (a cura di), Gli occhi di Alessandro. Potere sovrano e sacralità del corpo da Alessandro Magno a Ceausescu, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990); ma anche almeno una parte della letteratura francese e inglese; o ancora – così mi espongo all’ovvia accusa di meschinità personale –  una cosa mia di quasi 15 anni fa, quando ancora frequentavo le riviste di sociologia: E. Pozzi, Il Duce e il Milite ignoto: dialettica di due corpi politici, «Rassegna Italiana di Sociologia»,  n. 3-1998, pp. 333-358). E certo avrebbero dovuto esserci almeno il S. Bertelli de Il corpo del Re, Firenze, Ponte alle Grazie, 1995; il Bourdieu dei vari scritti sul corpo; o i testi ancora fondamentali di Featherstone et al., di B. Turner (sono citate solo cose minori); o il Michael Feher curatore dei Fragments for a History of the Human Body, 1989, Cambridge (Mass.), MIT Press, 3 voll.  Oppure il lettore andava avvertito che il bellissimo Männerphantasien di Theweleit è fatto in realtà di due volumi, di cui solo il primo (quello citato da Porro)  tradotto in italiano con esiti incerti, mentre il secondo ancora aspetta. E ancora: virgolette necessarie per «metafora politica incorporata», dato che viene da Lakoff. Ecc ecc.

 

Sterco di pedanti: ne do atto. Ma forse indica due cose fondamentali. La prima: come aveva ben scritto Marcel Mauss, impossibile tenere a bada il corpo dentro un approccio disciplinare, perché deborda da tutte le parti e ogni sforzo di ricondurlo in una camicia – e in una bibliografia – stretta espone l’incauto alla irrimediabile incompletezza di fonti, categorie, libri citati e peggio libri letti. La seconda: Porro ha scritto un bel libro, diciamo pure: un bel saggio. Però per motivi suoi ha voluto/dovuto metterlo sul letto di procuste dell’accademia e delle sue regole formali. Il saggio brillante  ha cercato di farsi testo per/di una corporazione, e così è diventato qualcosa che non poteva riuscire ad essere. Buon per il libro e per il suo autore, che lo si legga spontaneamente per quello che è in realtà: un bel saggio, interessante, stimolante e divertente. Buono per chi si occupa a vario titolo di corporeità dover capire che la scrittura congrua a quel suo particolarissimo oggetto polimorfo implica libertà. (enrico pozzi)

 

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