Morto l’altro ieri Daniele Del Giudice, a 72 anni, di Alzheimer.
L’avevo conosciuto una vita fa, letteralmente. Stava come me in un collettivo del Manifesto, il Collettivo Tor de’ Cenci. Occhialetti metallici, sguardo diafano. Esprimeva in qualche modo una altrimenti inesprimibile tensione che lo mangiava dentro.
Scriveva recensioni per Paese Sera. Brevemente amici. Vivevo una svolta della mia vita, e ancora non avevo capito quanto era una svolta senza ritorno. Con lui se ne parlava senza dirne mezza parola.
Poi ognuno se ne andò per la sua strada.
Lessi anni dopo Lo Stadio di Wimbledon. Riguardava Bobi Bazlen. Bello. Pensai per un momento di ricontattarlo ma ero ‘altrove’.
Non era il grande scrittore che adesso un classe intellettuale in cerca di eroi morti gli sta cucendo addosso. Era un bravo scrittore, appassionato e seriamente intenso.
Non parlo mai qui di cose personali, ma a quel Daniele e a quel momento della mia vita ho sentito di doverlo.
Adesso sicuramente Einaudi ripubblicherà un po’ di cose sue, e forse ne leggerò qualcuna. Un atto dovuto da molto tempo e da lontano.
Dal 2000 ENGRAMMA, la bella rivista fondata e diretta da Monica Centanni (IUAV, Venezia), esplora e prosegue la grande impresa di Warburg. Il motto warburghiano Zum Bild das Wort è il filo rosso di una ricerca che ha portato ENGRAMMA a inseguire le metamorfosi dell’immagine e delle sue parole in direzioni molto diverse e mai eterogenee: Alessandro il Grande, Schifanoia, Laocoonte, l’Ara Pacis, il Cinema e la Tradizione classica, Pasolini ecc ecc ecc.
Costante in questi 16 anni il lavoro diretto su Warburg stesso, e sull’Atlante Mnemosyne. Così anche in questo n. 138, “Dal cosmo all’uomo e ritorno”, con una nuova traduzione e edizione critica della Einleitung del 1929 al Bilderatlas, e con una complessa analisi e commento alla Tavola B.
Da leggere, per chi, come noi, crede all’immagine e alle sue stratificazioni come “via regia” verso le aree latenti del Sé e del sociale.
La psicoanalisi ha qualcosa da dire intorno al Male e alle forme estreme di distruttività? Una domanda che dovrebbe essere ineludibile. La ha affrontata il Centro Psicoanalitico di Roma (Società Psicoanalitica Italiana) il 17 ottobre scorso con una giornata intensa di relazioni e discussioni organizzata da Andrea Baldassarro e Manuela Fraire. Dopo l’introduzione di Baldassarro (Perché il Male. La psicoanalisi e i processi distruttivi), gli interventi di Marco Francesconi e Daniela Scotto di Fasano (Pulsione e repulsione di morte. Una riflessione sull’incomprensione maligna), di Roberta Guarnieri (Il male imprescrittibile), di Riccardo Galiani (Tracce del disumano), di Francesco Castellett y Ballarà (La psicoanalisi si interroga sulla guerra e sulle sue conseguenze), di Marina Malgherini (L’opera del sacrificio. Uno studio psicoanalitico), di Enrico Pozzi (La purezza e il massacro. Alcune metacategorie della distruttività estrema). Ha concluso i lavori Manuela Fraire con L’eterno ritorno dell’oggetto rimosso.
Presto il volume con tutte le relazioni. Sarà un’occasione per tornare a parlare del molto che è stato detto, e del moltissimo che rimane da percorrere.
A Reggio Emilia il 26 settembre una mattinata di lavori sull’incontro tra le psichiatria e le culture cosiddette ‘altre’. Tema non nuovo, ma qui la differenza feconda sta nella prospettiva storica e in parte epistemologica. Ecco i titoli delle relazioni:
Alessandra Cerea, Il “caso” Devereux nella storia dell’etnopsichiatria
Matthew M. Heaton, Transcultural psychiatry, decolonization and nationalism: comparisons between Nigeria and India
Waltraud Ernst, Beyond colonial psychiatry. The indigenization of psychiatry of British India, 1900-1940
Marianna Scarfone, La psichiatria del Corno d’Africa durante occupazione italiana
German E. Berrios, Epistemology of Cultural Psychiatry
Il convegno è organizzato dal Centro di storia della psichiatria San Lazzaro nell’ambito della X Settimana della salute mentale che si svolge in quei giorni a Reggio Emilia. Luogo dei lavori: il Museo di Storia della psichiatria, Via Amendola 2, Padiglione Lombroso. Registrazione dei partecipanti alle 8.30. Partecipazione gratuita, ma è necessario iscriversi scrivendo a bombardieric@ausl.re.it
Eda KALMRE, The Human Sausage Factory. A Study of Post-War Rumour in Tartu, Amsterdam, Rodopi B.V., 2013, 180 p.
Il racconto ha l’evidenza archetipica del mito cannibalico e la struttura narrativa della leggenda metropolitana. Io non c’ero e dunque non ho visto direttamente. Ma una persona di cui mi fido totalmente mi ha riferito che…
In questo caso il narratore è un anziano signore che vive a Tartu, capitale dell’Estonia. Legge sul giornale locale, il Tartu Postimees, l’intervista ad una giovane ricercatrice. Riordinando gli archivi del Museo del Folklore Estone, Eda Kalmre ha trovato svariate tracce di una voce su una fabbrica di Tartu che produceva salsicce con carne umana. Interrogata da un giornalista, ha classificato questa voce come una tipica horror story, un racconto dell’orrore. Il lettore insorge: la storia è vera, gliela ha raccontata il padre, di cui ovviamente si fida e che ne è stato testimone diretto.
Ecco il canovaccio. Poco dopo la fine della guerra, 1947. Il padre sta al mercato di Tartu. Arriva una donna urlante e ferita. Grida che stanno ammazzando delle persone in un edificio in rovina a qualche centinaio di metri. Una dozzina di passanti, tra cui il padre del narratore, corrono verso il luogo, penetrano tra il filo spinato e le brecce nelle mura, trovano pezzi di corpi, capelli, quaderni di scuola, mucchi di vestiti. La donna – una lattaia – racconta di essere stata avvicinata al mercato da un Russo
La scena contemporanea approssima a noi mondi lontani. Nel renderceli vicini sollecita il movimento di afferrarli, di farne concretamente parte, di esserne tutt’uno. Rende così inquiete le appartenenze, irrequiete le genti come le idee, le cose come le immagini. Quante aspirazioni, sofferenze, ineguaglianze trasudano dai viaggi contemporanei! Quante illusioni di incontri salvifici vengono in essi riposti.
In cerca di lavoro e benessere, di emozioni ed esperienze, si spostano continuamente lungo l’asse nord sud due differenti viaggiatori dal diverso potere contrattuale e dalla complementare destinazione. Non si incontrano e, se capita, si evitano. Sono l’Emigrante e il Turista.
L’installazione etnografica li rappresenta tutt’uno con il loro immediato contesto, li fissa – a terra spiaggiati –
Un rituale di annullamento del tempo
“Molti ex compagni di scuola mi hanno trovato e contattato, ma al di là delle sommarie informazioni sulle proprie vite odierne, non è successo nulla. Invece dopo qualche settimana una mia carissima amica, con la quale per vari motivi, avevamo interrotto i rapporti otto anni fa, ha trovato attraverso facebook, il coraggio per chiedermi scusa per i suoi errori del passato e riavvicinarsi a me. Penso sia una bella vittoria per un “semplice” sito internet. Io e la mia amica abbiamo ripreso a vederci, abbiamo chiarito le nostre incomprensioni e ci confidiamo nuovamente, come otto anni fa. Grazie facebook!”
Migliaia di racconti simili potrebbero essere raccolti tra gli adepti di Facebook. Mi viene in mente il comportamento di un paziente ossessivo descritto in un saggio di molti anni da Elvio Fachinelli,
La terza conferenza internazionale su Re-Thinking Humanities and Social Sciences si terrà all’Università di Zadar, in Croazia, dal 6 al 9 settembre 2012. Quest’anno il tema centrale sarà la politica della memoria: come il ricordo costruisce le nostre connessioni con il passato? Qual è il collegamento tra il passato e il presente? Come si iscrivono le relazioni sociali e le soggettività nelle narrazioni sul passato?
Tra gli argomenti di discussione: memoria e corpo; memoria culturale e trauma; suono e memoria; memoria, spazio pubblico e cittadinanza; rituali e memoria, ecc.
Si sollecitano interventi da vari ambiti disciplinari. La data di scadenza per proporre i vostri contributi è il 1° giugno 2012.
Il 1 febbraio scorso, sul Corriere della sera, Giovanni Bianconi pubblica un articolo su un tal M. B., ex BR ora professore associato, che ha chiesto per vie legali all’archivio Flamini di rendere inaccessibile on line il riferimento al suo passato in nome del diritto all’oblio ( http://bit.ly/w2bnow ).
Mi chiedo il perché di quelle iniziali, cerco un attimo e trovo tutto quello che mi serve sulla vicenda di Marcello Basili, dell’università di Siena. Scrivo un breve post su quella richiesta, e sul problema del rapporto tra diritto all’oblio, storia, memoria sociale e archivi.
Il 3 febbraio un tal Curiosamente curioso mi chiede nel commento. ” Ma a te il nome chi te lo ha dato?“.
Sono sorpreso da questa frase sibillina.
Anni fa Marcello Basili, capace di intendere e di volere, manovale delle BR, gambizzò a Roma, mi pare di ricordare con altri, il segretario della sezione DC di San Basilio, tal Domenico Gallucci. Basili si pentì, si dissociò, denunciò ampiamente i compagni, insomma fece tutto il necessario per cavarsela al meglio con meno carcere possibile. Era un perfetto aspirante intellettuale.
Ora il prof. Marcello Basili è associato di Economia Politica a Siena.
Un articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della sera del 1 febbraio (