S/Oggetti disorientati. Fagotti e souvenir alla deriva, corpi.

La scena contemporanea approssima a noi mondi lontani. Nel renderceli vicini sollecita il movimento di afferrarli, di farne concretamente parte, di esserne tutt’uno. Rende così inquiete le appartenenze, irrequiete le genti come le idee, le cose come le immagini. Quante aspirazioni, sofferenze, ineguaglianze trasudano dai viaggi contemporanei! Quante illusioni di incontri salvifici vengono in essi riposti.

In cerca di lavoro e benessere, di emozioni ed esperienze, si spostano continuamente lungo l’asse nord sud due differenti viaggiatori dal diverso potere contrattuale e dalla complementare destinazione. Non si incontrano e, se capita, si evitano. Sono l’Emigrante e il Turista.

L’installazione etnografica li rappresenta tutt’uno con il loro immediato contesto, li fissa – a terra spiaggiati – nei loro stereotipati ideal tipi, identificati nel bagaglio delle loro differenti aspirazioni: l’emigrante nascosto e, ad un tempo, reso espressivo da quei fagotti che ne sono l’essenziale e umile fardello; il turista dal corpo stracolmo di souvenir, frammenti di esotismo acquistati a buon prezzo, predazioni e spoliazioni in nome dell’inesauribile voracità culturale.

Da una parte la nuda vita [cfr. G. Agamben, Homo Sacer 1995] di chi spesso senza neppure i documenti si espone a drammatiche fatalità solo contando su una disposizione a fronteggiare la cattiva sorte (chiamiamola “resilienza”) precocemente messa alla prova; dall’altra l’individuo possessivo [cfr. C. B. Macpherson, Liberta e proprietà alle origini del pensiero borghese, Milano, 1973] che si identifica nella sua collezione, una persona maschera che cercando altrove quel senso fuggito nella sua patria si nasconde a se stesso. Due umani alla deriva in tempi di crisi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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