In memoria di Vito Acconci, morto ieri a New York

E’ morto ieri a New York Vito Acconci, 77 anni, poeta, video e body artist, performer, architetto, instancabile sperimentatore.

Il più grande.

Solo gli Azionisti viennesi reggono il confronto. La maggior parte degli altri fanno figura di stanchi imitatori, macchiettisti, o puri e semplici gigioni.

Ero a New York nel gennaio 1972, alla Sonnabend Gallery di Chelsea, mentre era in corso Seedbed: nudo, sotto un falso pavimento, Acconci si masturbava senza fine blaterando in un microfono fantasie sessuali sui visitatori. Indimenticabile messa in scena e in atto di un desiderio tanto illimitato quanto inutile.

Il video qui: 

Vito Acconci, Seedbed, 1972

Prima c’era stato Following Piece, e Trademark. Dopo, tanto altro, fino alla percezione del limite del suo corpo come produttore di segni. Trionfava ormai la “tolleranza repressiva” così ben prevista da Herbert Marcuse. La trasgressione radicale si dissolveva nella gara a “épater le bourgeois”. Ingenuamente , pochi. Furbamente, molti. Facendo finta di non sapere che il “bourgeois” non si lascia mai “épater”, vince sempre, compra.

Era giunta l’ora degli Ulay, delle Marine Abramovic, delle Orlan ecc ecc ecc. Ed era giunta perciò per Acconci l’ora di traslare il corpo ormai edulcorato nella sua forma più sublimata, l’architettura.

Il segno della svolta fu la sua prima installazione site-specific: Way Station I (Study Chamber), nel 1983 al Middlebury College, Vermont, dove stavo insegnando (Harvard ne affittava degli spazi l’estate per alcune sue scuole estive, in particolare di scrittura creativa). Le reazioni furono violente, persino in quel delizioso campus molto liberal, e due anni dopo questa sua prima opera architettonica fu incendiata da ignoti. Nel 2013 è stata ricostruita.

Poi altro, ma io ne persi le tracce, e forse l’interesse a seguirle.

Salvo ritrovare Acconci all’improvviso dietro qualche opera ‘strana’ (per es. Il ventre dell’architetto di Peter Greenway). O capitare per caso e troppo di corsa alla sua retrospettiva recente al MoMA PS1 di Queens. Credo di avere tutto ciò che di sé ha pubblicato. E’ ora di tirarlo fuori. Oppure di lasciare quei libri dove stanno e tenermi solo i gemiti della Sonnabend Gallery. In fondo bastano. (enrico pozzi)

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