Mutilazioni genitali rituali [1]. Le strane reazioni alla sentenza del Tribunale di Colonia

Il 27 giugno scorso, il Tribunale di Colonia ha stabilito che la circoncisione di un minore per motivi religiosi è una lesione corporale a tutti gli effetti, e va vietata. “Il corpo di un bambino viene modificato in modo duraturo e irreversibile con la circoncisione”: una mutilazione ingiustificata razionalmente, inflitta a un soggetto indifeso dalla famiglia e dal gruppo di appartenenza.

La sentenza è ovvia, razionale, conforme alla difesa dei diritti di un soggetto debole, e in particolare del diritto alla integrità corporea. A nessuno dovrebbe esser concesso di praticare sul corpo di un altro un atto mutilante senza la giustificazione di una emergenza medica dimostrata; e questo ancor di più se l’altro è privo della facoltà di opposizione e di scelta, e dunque bisognoso di protezione assoluta. 

Siamo di fronte al riconoscimento giuridico di un diritto elementare dell’individuo. Eppure la reazione è stata di scandalo. Le comunità religiose coinvolte – in particolare le comunità ebraiche, perché le comunità islamiche si sono sentite poco e niente – hanno parlato di incredibile offesa, di attentato alla libertà religiosa, di ennesimo rigurgito nascosto di antisemitismo, di aggressione a una comunità rispetto alla quale le sue colpe spaventose dovrebbero imporre alla Germania solo silenzio, acquiescenza, e rinuncia a questa variante non banale dello habeas corpus: sottrarre un soggetto all’arbitrio fisico di terzi.

Altre religioni hanno capito il pericolo e sono corse a sostegno dei diritti delle autorità religiose sulle loro constituencies, e delle famiglie sui loro figli. Cattolici compresi (vedi per tutti Famiglia cristiana). Lasciamo perdere i personaggi politici – la Merkel per prima – più attenti a valutazioni di altra natura che non ai valori fondanti dello stato moderno Più sconcertante che a questo coro si siano uniti anche altri che potevano e dovevano essere più liberi di pensare, menti laiche, opinion maker di varia origine e di moderna sensibilità. 

Le mutilazioni genitali sono una variante delle mutilazioni rituali con le quali i gruppi sociali iscrivono se stessi e la propria identità nel corpo di chi per caso vi è nato dentro. Per un sistema sociale il corpo e la sua pelle sono il confine ultimo dell’individuo, la barriera che si oppone al suo integrale impossessamento da parte del sociale. Per questo tutte le società note marchiano i corpi dei loro sudditi: li modellano, scarificano, penetrano, tagliuzzano, colorano, tatuano, coprono/scoprono, costringono al digiuno o al sesso, piegano a regole implicite o esplicite ma sempre feroci, avvolgono in reticoli di divieti e di puro/impuro, ecc. In ogni caso, li segnano. Con le ragioni più varie – la religione, presunte esigenze mediche, riti sociali di passaggio e di iniziazione, la tradizione, criteri di bellezza, identità di genere ecc -, ma sempre con lo stesso esito e la stessa funzione: imprimere nel corpo l’appartenenza a un gruppo, sancire la preponderanza del sociale sull’individuo, dare traccia corporea all’assoggettamento.

 Naturalmente il vertice dell’assoggettamento riuscito si ha quando il suddito desidera i segni visibili della schiavitù sociale: ad es. quando considera una manifestazione della sua libertà e autonomia pratiche sepre più diffuse come il tatuaggio, il piercing l’innesto visibile di materiali eterogenei e inerti nel corpo. Ma non si sa mai: per sicurezza meglio agire quando il bambino è appena nato e inerme, quando non può scegliere niente, durante la socializzazione primaria, prima che la complessità del sociale gli metta grilli per la testa e magari desiderio e capacità di autonomia reale.

Quanto è fragile e anomico un sociale che ha bisogno di aggrapparsi alla sua incorporazione?

Non riesco a cogliere differenze logiche  – sottolineo: logiche – tra le pratiche più feroci di marchiamento dei corpi e la circoncisione. La lettura di protocolli d’intervista a donne infibulate o clitoridectomizzate mostra gli stessi argomenti storici / culturali /religiosi/ identitari /politici, le stesse ambiguità, gli stessi meccanismi di consenso espressi nelle reazioni negative alla sentenza di Colonia. La circoncisione come l’infibulazione? Nella oggettività fisica, certo che no. Nella esperienza soggettiva e nella logica profonda, certo che sì.

Una amena lettura per tutti i cultori delle castrazioni rituali e delle loro sottili ironie: Bruno Bettelheim, Symbolic Wounds. Puberty Rites & the Envious Male, 1954. Mi pare che in Italia l’abbia tradotto Feltrinelli…

 

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