Contro la trasparenza (1). A proposito di un sinistro articolo di Stefano Rodotà

Storie di trasparenza. La madre di un paziente che anche quando stava al gabinetto teneva la porta aperta per non perdere mai di vista i corridoi sul quale davano tutte le stanze della casa: del tutto visibile per poter vedere sempre tutto.

Oppure. La famiglia di una giovane paziente che vive in una casa senza porte. Tutti sempre nudi e senza la seconda pelle dei vestiti. Tutti sotto gli occhi di tutti in ogni atto. La vita intima del corpo come fatto pubblico. Il sesso come evento pubblico. Il lettone dove tutti si ritrovavano  insieme a tutti come spazio geometrico della simbiosi. Nessuna chiave, nessuna tenda, nessun angolo nascosto. Tutto che può essere sempre aperto e visto da tutti. Nel gruppo, nessun segreto per nessuno, nessuna menzogna possibile, l’etica della sincerità totale, nessuna frontiera tra il dentro dell’Io e il suo fuori, l’individuo diafano alla totalità sociale e al Noi. E una giovane psicotica come risultato di questa folie à plusieurs.

Ho imparato da storie come queste a odiare la trasparenza. Ho cominciato a guardare con emozione i bambini piccoli che lottano per poter accostare e  chiudere le porte, o per aver diritto al pudore. Ho ritrovato l’emozione maturativa delle prime bugie riuscite, quando il bambino si accorge che non è vero che l’adulto è dio, e che non è vero che gli legge dentro come in un libro aperto, e che si possono avere quelle cose personalissime e garanti del proprio Io che noi chiamiamo “segreti”.             

L’individuo nasce dalla opacità all’altro, dalla non trasparenza al sociale. Dire ‘Io’ significa sancire che una parte di Noi è auspicabilmente inaccessibile al Noi e ai suoi guardiani, che stanno intorno all’Io ma anche dentro. Il sociale aspira ad essere come lo A porte chiuse di Sartre, dove i tre protagonisti non possono mai sottrarsi in alcun modo agli sguardi reciproci. Questo è il modello sociale dei totalitarismi del secolo scorso, nei quali si sono forgiati i modelli funzionali dei sistemi sociali totali di oggi.

In nessuna epoca storica enti esterni all’individuo hanno posseduto una così estesa quantità di informazioni incrociate sulla vita di ciascuno di noi, su tutte le pieghe di questa vita, sulle vicende dei suoi affetti, sulle vicissitudini e trasformazioni del suo corpo, sui suoi atteggiamenti, desideri, fantasie, comportamenti, acquisti, spostamenti, letture, parole. Queste informazioni sono nelle mani dello Stato e delle sue microarticolazioni, ma sono anche nelle mani di entità non statali pronte a negoziarne l’accesso con lo Stato. Peggio: noi stessi, servi volontari, ci spogliamo spontaneamente degli ultimi brandelli di pelle dell’Io e ci diamo in pasto alla trasparenza pubblica: Facebook e Twitter come ultime varianti del Panopticon in cui ci mettiamo da soli.

Rodotà scrive un articolo per dimostrare che l’individuo Berlusconi, in quanto capo politico, non ha diritto al segreto sulla sua vita corporea, affettiva e sessuale (La Repubblica, 26 maggio 2009). E dunque non ha diritto a tacere o mentire sulla vicenda Noemi Letizia, sulle accuse della moglie, sulle feste a Villa Certosa, sul Sardanapalo che egli ovviamente è ecc. Per sostenere questa tesi percorre due direzioni.

Primo, usa due esempi: il caso Profumo e Christine Keeler, e il caso Gary Hart.

Esempi disgraziatissimi. Profumo era il Ministro della difesa  britannico in piena guerra fredda. Ebbe una brevissima relazione con la showgirl, che però forse aveva una relazione anche con l’addetto navale dell’Ambasciata sovietica. Poteva esserci il sospetto di un pericolo direttamente politico derivante da quella relazione di qualche settimana, portata perciò nella sfera diretta della responsabilità politica. Profumo mentì negando la relazione, e fu costretto a dimettersi. La Keeler si prese una condanna a 9 mesi per falsa testimonianza. Un medico molto mondano e donnaiolo, Stephen Ward, che aveva presentato la Keeler a Profumo a casa di Lord Astor, fu accusato di “guadagni immorali” perché presentava giovani fanciulle povere a ricchi signori, e si suicidò il giorno prima della sentenza che lo riguardava. La vittima sacrificale c ‘era stata, la sana indignazione del popolo aveva avuto un giusto morto in pasto, e tutto si calmò (su Stephen Ward si veda l’eccellente voce in Wikipedia). 

Ancora più sinistro il caso di Gary Hart. In corsa per la nomination democratica, sposato,

si innamora di Donna Rice, 29 anni, nega la relazione, sfida la stampa, che lo fa a pezzi. A quel punto si ritira dalla corsa. Il linciaggio mediatico messo in atto da una corporazione sfidata fu considerato “unfair” dal 64% degli americani (sondaggio Gallup), e il 53 % (stesso sondaggio) dichiarò che una relazione extraconiugale non aveva nulla a che fare con l’eventuale capacità di essere Presidente degli Stati Uniti.

 

Dunque due esempi pessimi: un miscuglio di isteria collettiva, di costruzione del capro espiatorio, di sessuofobia e di dinamiche mediatiche, con delle menzogne che almeno in un caso non avevano nessuna rilevanza politica né diretta né indiretta. Pura e semplice follia del sociale.

Rodotà deve aver sentito che con esempi così non andava lontano, si libera rapidamente dei fastidiosi Kant e Constant, e tira fuori l’argomento vero: l’assioma della democrazia come trasparenza integrale, e il corollario secondo il quale l’uomo pubblico deve accettare di farsi integralmente trasparente allo sguardo sociale. E’ il recupero dell’antico dettame giacobino: tutto deve essere trasparente al popolo. La filosofia politica e la prassi dell’Illuminismo si erano scatenate contro gli arcana imperii dell’Ancien Régime e della ragion di stato. I pamphlets pornografici della 2nda metà del Settecento avevano allargato questi arcana imperii alla vita sessuale del re e della regina. Constatiamo che Rodotà condivide questo allargamento. Mehr Licht, più luce sul corpo e sul sesso del Sovrano/leader. Che non menta più sugli affetti che prova, sui desideri che coltiva, e su cosa fa il suo pene. Tutto ciò appartiene al popolo.

La mia ripugnanza di fronte a questa perversione etica e politica è totale. Tutto di me,  e di qualsiasi altro individuo, è in primo luogo assolutamente mio, salvo quanto, nella misura più ridotta possibile, è del tutto necessario e inevitabile che riguardi lo Stato e e il sociale. Miei e solo miei sono il mio corpo, i miei affetti, con chi vado a letto, quanto lo faccio, come godo, le mie fantasie, i miei desideri, come mangio, quanto peso, se fumo, se voglio vivere o voglio morire.

Su tutto ciò io ho il diritto e il dovere di mantenere il segreto, di mentire, di non rispondere e di insultare chi mi chiede di rispondere. Oltre la mia pelle nessuno può andare se io non lo decido. E di tutti coloro che toccano la mia pelle – corporea, affettiva, cognitiva – io ho il diritto di non dire nulla, finché non ci sia la fondata presunzione che sto arrecando un danno diretto a un altro non consenziente o incapace di intendere e di volere. Questo vale per me, e vale per chiunque, compreso chi ricopre per una parte di sé una cosiddetta funzione pubblica. Compreso perciò persino Berlusconi.

La democrazia non è trasparenza, è preziosa opacità.

Meglio: è trasparenza dello Stato e delle sue azioni e procedure, e opacità quanto più possibile estrema di qualsiasi cosa riguardi l’individuo, quaisiasi individuo. La trasparenza è una modalità psicotica e folle del sociale, una organizzazione delirante del Noi, il sintomo e lo strumento della ipertrofia della totalità che divora i territori dell’Io con la nostra complicità. Occorrerà scrivere un manualetto di strategie per l’opacità, cioè per la libertà. Parola straordinaria che una Sinistra politica di dolorosa mediocrità ha lasciato in dono ad una Destra che non sa che farsene.

Un’ultima considerazione: il Rodotà di questa equazione tra democrazia e trasparenza integrale è stato per anni il garante della nostra privacy. Con questa visione dei diritti dell’individuo? Con questa cultura di riferimento? Mi prende un gelo alla schiena, e la speranza che mai gente così abbia un potere reale. O possa sedere con la porta del gabinetto aperta in fondo al corridoio.

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