Contro la trasparenza (2). Perché Berlusconi non riesce a pensare che il pene di Berlusconi riguarda solo Berlusconi.

La vicenda Noemi-Papi-Veronica-Villa Certosa-La Repubblica ecc ecc è una ennesima dimostrazione del confine labile tra politica e folie à plusieurs, tra costruzione del consenso e pensiero paranoico, tra immaginario sociale e ideologia. Troppo banale per perderci il tempo di una analisi sistematica.

Qualche domanda vale lo stesso la pena. La prima qui, le altre verranno.

La prima. Dovrebbe essere evidente per qualsiasi individuo degno di questo nome che quello che il proprio pene fa o fantastica di fare riguarda solo lui, se non arreca danni a terzi non consenzienti. Questo vale, fino a prova contraria, per il mio pene, e per il pene di qualsiasi altro cittadino, compreso il presidente del consiglio. Altrettanto ovviamente vale per qualsiasi vagina, comprese quelle delle eventuali donne del presidente del consiglio.

Il sesso è, nei nostri sistemi sociali ora, il punctum di massima asocialità concesso dal sociale ai suoi individui, il luogo geometrico della individuazione. Non che sia granché: proprio perché rappresenta questa ultima frontiera, le società si accaniscono a restringerne il campo di autonomia, e ne costruiscono con ostinazione a monte e a valle i contenuti, le procedure, i comportamenti leciti, gli spazi leciti di illiceità tollerata ecc. A monte con la socializzazione primaria, che scrive il codice nel corpo. A valle con la polizia del corpi e delle menti, e con le mille regolamentazioni dell’accoppiamento e delle sue conseguenze sociali.

Ecco il problema: perché Berlusconi non ha avuto chiaro il suo diritto assoluto e imprescindibile di cittadino alla opacità della sua vita sessuale (e perché no, affettiva)? Perché si è comportato, pur dicendo di non volerlo fare, come uno che deve rendere conto a terzi e al popolo di ciò che fa o spera di fare il suo pene?

Ho fatto tradurre un bel libro di A. de Baecque (La gloria e lo spavento. Sette corpi nel Terrore, ilcorpoedizioni). Vi si racconta come, in nome del principio giacobino secondo il quale tutto deve essere trasparente al popolo, i corpi politicamente significativi venivano aperti, esaminati dentro e resi in questo modo ‘pubblici’. 190 anni dopo, durante il rapimento Moro, le BR rendono pubblica una lettera riservata a Cossiga del prigioniero, e spiegano: ” niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume “. Continuità giacobina della trasparenza nei sistemi sociali totali.

Berlusconi non pare un giacobino malgré lui. La sua incerta e ritardata difesa del proprio pene – e dunque dei “territori dell’Io” (Goffman): rapporti, affetti, spazi domestici ecc – nasce da un effetto perverso della logica carismatica sulla quale ha costruito il suo consenso.

Weber e Freud, sempre loro. Weber che fonda il potere carismatica sulle qualità straordinarie che un gruppo attribuisce a un capo. Freud, che vede nella identificazione reciproca tra capo e gruppo ciò che tiene insieme il gruppo, e il capo stesso. Questa la semplice logica di base. Seguono due varianti.

In una il capo (meno carino di leader ma più primitivo e vero) si fa straordinario uscendo dall’ordinario e rendendosi sacro: lontano, invisibile, inaccessibile, onnipotente perché arcano, è l’incarnazione del mysterium tremendum et fascinans. Non vuole amore, ma identificazione nuda e primitiva con il suo carattere numinoso, asserito dalla distanza. Il Tiberio di Tacito più che quello di Svetonio. Ma anche, si parva licet, Mitterand; o la costruzione  microsociale del carisma dello psicoanalista messa in atto dal setting tradizionale, che lo vuole invisibile, inconoscibile, e dunque il contenitore di oni possibile fantasma proiettivo.

Nell’altra variante, il capo carismatico cerca di fare in modo che tutti i suoi sudditi si sentano parte di lui. L’identificazione del popolo con il suo capo consiste nel fatto che ciascuno può pensare che sta in lui, vive in lui, di lui e tramite lui, è un frammento (eucaristico) di lui. Il corpo fantasmatico e immaginario del capo contiene gli individui del gruppo, crea il gruppo (e pluribus unum) ed è fatto dal gruppo, in un circolo vizioso sociologicamente fatale. 

Questa strategia è praticata dai capi/Sovrani che hanno bisogno di creder di amare i loro sudditi, e che vogliono esserne riamati; quei Sovrani ai quali la nudità astratta e raggelante del semplice Potere non può bastare, perché implica il coraggio dell’indifferenza e a volte del terrore. La sua rappresentazione perfetta è il frontespizio del Leviatano di Hobbes, o il manifesto di Xanti del 1935.

 

Frammento del frontespizio del Leviatano di Hobbes. Il Re corpo mistico che si compone dei suoi sudditi.

 

Il razionalismo Bauhaus di Xanti interpreta il corpo mistico-sociale di Mussolini. Manifesto per il referendum del 1934.

 

Teoricamente, ognuno di noi può cercare e riconoscere se stesso in una delle figurine che costituiscono il corpo del capo: io solo lui,e Noi tramite lui. La conseguenza logica è però fatale: se il capo coincide con il gruppo, allora il gruppo ha il diritto e il dovere di un accesso integrale ad ogni aspetto del capo.Il capo deve essere, anzi è per definizione, trasparente ai sudditi che lo compongono. Tutto di lui è integralmente pubblico, perché in questo sta la base del suo carisma, dunque del suo potere. La totale trasparenza del corpo del Re a Versailles. La trasparenza delirante del corpo di Clinton alla Casa Bianca. La trasparenza suicida di Jim Jones a Jonestown. La trasparenza della sessualità groupie dei Kennedy e della corte di Camelot, e così via all’infinito.

Berlusconi rientra in questa categoria. Il suo modello di consenso riposa sulla rappresentazione dell’amore per la gente e dell’essere amato dalla gente. L’identificazione che offre è con il successo della sua vita di imprenditore e di uomo. Una storia italiana condensa questa confusione tra una biografia individuale e un corpo sociale. La trasformazione della realtà e della comunicazione in set televisivo accentua il diritto del pubblico a sapere tutto dell’attore principale, al quale non riconosce altra identità se non quello del ruolo che recita. 

In questo modo Berlusconi ha perso la pelle che protegge i territori intimi dell’Io. I suoi sudditi non sono fuori, nel pubblico. Sono dentro, oltre la pelle, nell’Io, e possono pretendere alla trasparenza integrale di questa cosa – Berlusconi – che è lui e loro al tempo stesso. Berlusconi è cosa loro. E Berlusconi stesso sente che è in qualche modo cosa loro. Così il capocomico sotto le luci della ribalta cerca l’ombra, ma non trova più dentro di sé la logica potente del segreto e dell’opacità, esita. Ha sempre usato l’esteriorizzazione dell’interno del suo Io per comprendere in sé la ‘gente’. Come può pretendere ora di richiudere le porte, e di ritrovare lo spazio interno del segreto, ovvero dell’individuo? Preso al suo stesso gioco, ne diventa la vittima. E quando cerca di liberarsi temporaneamente dalla trappola degli effetti perversi della sua modalità carismatica, lo fa troppo tardi e male: poco credibile, falso. 

Così vanno le cose del carisma.

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