Albrecht Dürer, Le Quattro Streghe (1497)

La Strega è nuda.

Nella Villa dei Misteri a Pompei è rappresentata l’iniziazione di una fanciulla in un culto misterico. A iniziazione avvenuta, dopo essere morta e risorta, la fanciulla danza felice, divina – e nuda.

Nei rituali iniziatici accadeva spesso di spogliarsi. Il più importante storico della stregoneria in attività, Ronald Hutton, ha osservato che, al di là di questi riti, la nudità è rara nella pratica religiosa, ma è comune in quella magica – e, possiamo aggiungere, un’iniziazione misterica unisce le due.

Un incantesimo di folk magic inglese richiede che una donna che non riesce ad avere figli vada nel suo orto nuda la vigilia di Mezza Estate. O, se una donna volesse avere una visione del suo futuro marito, potrebbe fare di peggio: andare a correre nuda(continua)

Milioni di video e foto online alimentano la riproduzione digitale permanente e quotidiana dei nostri corpi. Al lavoro, al sole, in palestra, occhi, piedi, nasi, gambe, corpi sani, corpi malati. Non sfugge nulla o quasi.  C’è infatti una zona d’ombra in questa ossessione iconica che ci racconta ogni giorno: manca quasi del tutto ciò che siamo sotto la pelle.

Ma siamo qualcosa sotto la pelle? C’è ancora un’identità nelle viscere? La ricerca scientifica ci dice che il nostro intestino è un secondo cervello, però non ci viene in mente di condividerne l’immagine. Fa eccezione l’utero nell’ecografia delle gravidanze. Dal dentro portiamo fuori in pratica quasi solo il cuore, che rappresentiamo in tutte le forme. Difficile incontrare qualcuno con un ciondolo a forma di stomaco.

Dal 24 marzo al 17 luglio, la Fondazione Prada a Milano propone la mostra Cere anatomiche. La Specola di Firenze / David Cronenberg, rivelando un modo molto diverso di rappresentare identità, seduzione e organi interni.

(continua)

Un film gradevolmente falso. ALL THE BEAUTY AND THE BLOODSHED di Laura Poitras. Leone d’oro a Venezia.

Su Nan Goldin.

Le solite mitografie su un’artista (mezza) maledetta. Sesso ad ampio spettro (sì, spettro fatto di spettri), droga, povertà (tempo fa), una community di altri maledetti (veri, e prevalentemente morti – overdose e AIDS). Famiglia perbenista di merda. Sorella suicida. Relazioni distruttive (e distruggenti). La lotta vittoriosa ed eroica contro il Male (l’OxyContin, gli oppioidi, la famiglia Sackler) e per liberare l’Arte dal Male (fuori i Sackler dai musei del Mondo).

(continua)

Via Orti d’Alibert, a Roma, pochi metri da Regina Coeli. Il vecchio Filmstudio, ma ora si chiama SCENA, e dentro è proprio diverso. Evento-cinema FUORINORMA, l’associazione di Adriano Aprà, da anni in lotta appassionata per un cinema ‘altro’.

Qui, tra la fine degli anni 60 e gli anni 70, il mio personale incontro con cose che solo in questo luogo a Roma si vedevano. Stan Brakhage e l’avanguardia sperimentale nord americana. I fratelli Mekas. Cassavetes. Markopoulos. Godard. Solanas e Getino. Glauber Rocha. Alain Resnais. Miklos Jancso. Joseph Losey. Il Rossellini televisivo. I primi Antonioni. Tutto quello che girava sulla bellissima prima serie di Ombre Rosse (l’abbiamo riprodotta qui).

Ci sono tornato per la prima volta da allora domenica sera, il 5 dicembre, per FUORINORMA e per nostalgia. Pioggia, tutto chiuso intorno. La presenza del carcere.(continua)

 

PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI. 400 editori piccoli e medi a raccolta sotto la plasticosa Nuvola di Fuksas, all’EUR. Tanta gente malgrado la pioggia.

Una delusione. Chissà perché, da ‘piccoli e ‘medi’ mi aspettavo avanguardia editoriale, ricerca estetica, audacie tipografiche e grafiche, magari libri d’artista, botte di vita. No. Da uno stand all’altro – e pure gli stand sono banali – il trionfo del conformismo visivo, il paperback all’americana come modulo generalizzato, i soliti formati. Migliaia di copertine tutte eguali – una immagine ‘fantasiosa’ irrimediabilmente banale e così colorata, un titolo con tipografia logora, l’omologazione.

Gran fatica e noia a girare tra così tante identità indistinte, con l’occhio che cerca una differenza vera. Nemmeno l’ideologia aiuta. Il sindacato di sinistra o gli anarchici stampano come gli altri e pure peggio. Le università, non ne parliamo. Le editrici ‘colte’ hanno perso cultura specifica. Laterza non si può guardare. Adelphi si contempla l’ombelico e ‘innova’ con alcune collane sciatte. Cortina sobriamente noiosa.(continua)

Donatella DI CESARE, Il complotto al potere, Torino, 2021, Einaudi

Ben venga questo breve saggio della filosofa Donatella Di Cesare sul complotto e sul complottismo. Il tema del complotto è stato ed è un protagonista delle nostre vicende politiche, sociali, economiche, e ora anche biomediche, eppure i contributi teorici italiani di un qualche peso sono pochissimi, marginali e in alcuni casi anche viziati da accuse di plagio.

Al centro del pamphlet sta il rapporto tra complotto e democrazia. Qui il complotto non conta come possibile evento reale, ma come narrazione sociale diffusa. Nei nostri paesi a regime politico democratico, aree crescenti (continua)

Francesca Fini / Cyborg Fatale (2011 – 2021), a cura di Bruno Di Marino, Milano 2021

Questo libro è la presa d’atto di una compulsione alla metamorfosi e all’anamorfosi tramite una creatività artistica avida di ogni mezzo possibile.

L’artista è Francesca Fini, 51 anni, romana. Cyborg Fatale copre gli ultimi 10 anni della sua attività. Viene da dire: della sua vita, tanto è totale e senza resti il percorso che viene raccontato.

La prima cosa che colpisce è la quantità di lavoro svolto. Chi abbia avuto a che fare con Francesca ha sentito la tonalità ascetica del suo modo di fare arte, la devozione a creare senza soste né stanchezze, letteralmente giorno e notte, con una attenzione ossessiva a ogni dettaglio anche minimo, sotto il segno di una autarchia che vuole gestire da sola tutta la scena. Anche quando altri vengono coinvolti, sembrano marginali, semplici protesi (continua)

Fernanda ALFIERI, Veronica e il diavolo. Storia di un esorcismo a Roma, Torino, Einaudi, 2021

Nel 1834 una giovane ragazza romana, Veronica Hamerani, di famiglia legata alla Chiesa, manifesta i sintomi di una possessione diabolica.

Per accidente, cercando altro, nell’Archivum Romanum Societatis Iesu, Fernanda Alfieri capita sul fascicolo Esorcisazione di Maria Antonina [in realtà Veronica] Hamerani, ritenuta ossessa (1834-1835). Il fascicolo raccoglie alcuni mesi di protocolli dell’osservazione partecipante degli esorcisti seduta dopo seduta, descrive il comportamento di Veronica, corpo, gesti, parole. Racconta le azioni di chi deve liberarla dal diavolo. (continua)

BOBI. Ovvero Roberto Calasso morente si conferisce il proprio mito delle origini e ne fa la propria maschera di cera.

Il suo Bobi Bazlen è un sistema di frammenti e aforismi, ovvero ciò che rende senza tempo una logica di rovine e di lapidi.

Molto del Bobi Bazlen reale non c’è. Il dramma di una lingua sempre più impossibile – il tedesco – che sempre più poteva solo leggere o tradurre o contaminare in altre lingue, mai scrivere. Il dandysmo. L’attrazione negata ma quanto sistematica verso le famiglie aristocratiche, a Trieste come a Roma. Le donne di cui NON ha parlato, ma che gli sono state di fronte come specchio insopportabile, una tra tutte, Ingeborg Bachmann.

Non so se, sedotto dalla mitografia di Calasso, qualcuno andrà a leggere Il Capitano di lungo corso, o La lotta con la macchina da scrivere. Se lo farà, incontrerà non il mito ma la limitata realtà della parola stampata sulla pagina.

Bobi Bazlen non era fatto per scrivere, ma per narrare. Questo era, uno straordinario narratore capace di trascinare via con sé di frase in frase tramite il suono della sua voce, con gli altri trasformati in fanciulli arresi ad una favola e ad una fantasmagoria.

Questo è rimasto nel ricordo intenso di chi lo ha ascoltato a lungo quando Bobi Bazlen era liberato dalla scrittura/lettura, la sua gabbia.

Di questo nel BOBI di Calasso non c’è traccia, perché Calasso – per farsi editore – aveva bisogno propria di una mitologia della scrittura/lettura, e non della potenza della voce. Così BOBI tradisce Bobi (Bazlen) traducendolo in testo.

Morto l’altro ieri Daniele Del Giudice, a 72 anni, di Alzheimer.

L’avevo conosciuto una vita fa, letteralmente. Stava come me in un collettivo del Manifesto, il Collettivo Tor de’ Cenci. Occhialetti metallici, sguardo diafano. Esprimeva in qualche modo una altrimenti inesprimibile tensione che lo mangiava dentro.

Scriveva recensioni per Paese Sera. Brevemente amici. Vivevo una svolta della mia vita, e ancora non avevo capito quanto era una svolta senza ritorno. Con lui se ne parlava senza dirne mezza parola.

Poi ognuno se ne andò per la sua strada.

Lessi anni dopo Lo Stadio di Wimbledon. Riguardava Bobi Bazlen. Bello. Pensai per un momento di ricontattarlo ma ero ‘altrove’.

Non era il grande scrittore che adesso un classe intellettuale in cerca di eroi morti gli sta cucendo addosso. Era un bravo scrittore, appassionato e seriamente intenso.

Non parlo mai qui di cose personali, ma a quel Daniele e a quel momento della mia vita ho sentito di doverlo.

Adesso sicuramente Einaudi ripubblicherà un po’ di cose sue, e forse ne leggerò qualcuna. Un atto dovuto da molto tempo e da lontano.

A proposito di Adolfo TURA, Breve storia delle macchie sui muri. Veggenza e anti-veggenza in Jean Dubuffet e altro Novecento, Monza, Johann & Levi, 2020

Le macchie sul muro sono figlie del caso. Non si fanno ‘apposta’ macchie sul muro. Non sono opere,  non hanno autore. O meglio, hanno autori involontari, qualche volta umani, spesso molteplici, altre volte processi naturali, fenomeni senza padrone, incidenti di varia natura. Sono residui di cose avvenute chissà quando, imperfezioni, sovrapposizioni casuali, reperti caotici di progetti incompiuti, rovine. Il vento, il sole, la pioggia, chi pulisce, chi passa, ognuno lascia la sua traccia e costruisce e modifica la macchia. Per finire, le macchie sul muro sono macchie, l’imperfetto, lo sporco, l’impuro, l’ibrido.

Nella sua breve Vita di Piero di Cosimo, Vasari lo descrive un essere di confine, “uomo più tosto bestiale che umano”, cultore del caos come prodotto informe della “natura”:  “Non voleva che le stanze si spazzassino, voleva mangiare all’ora che la fame veniva,(continua)

L’11 settembre è stato concausa, alibi e punto di partenza di una schedatura universale degli abitanti del pianeta, con gli aeroporti come laboratorio tecnologico, politico e sociale di un assalto illimitato ai confini degli individui.

Dopo è venuto tutto il resto, il tracciamento integrale delle nostre vite, la trasparenza totale al potere e ai poteri, le gigantesche macchine private e statali.

Il controllo sociale totale come ‘modernità’ trionfante e gloriosa.

E noi complici attivi, entusiasti: servi volontari.

Quando ricordo a lezione l’assioma del liberalismo politico – lo stato e i poteri trasparenti al cittadino, il cittadino opaco allo stato e ai poteri – mi guardano strano. Ma che sta dicendo? che vuol dire? di che parla? 

Spero che qualcuno stia scrivendo un elogio del segreto, della menzogna, del sotterfugio, della duplicità, del portare una o tante maschere, della comunicazione cifrata, del non lasciare tracce, del falsificare, del confondere gli sguardi del potere.

Intanto qui metto la bella installazione che Yoko Ono ha fatto al Louisiana Museum, a nord di Copenhagen: entrare in un labirinto di vetrata trasparenza dove tutto è visibile a tutto, e perdersi nel panico psichico. Titolo: AMAZE. 

A-MAZE….. THE MAZE…. il carcere ad altissima sicurezza dell’Irlanda del Nord dove vennero rinchiusi i prigionieri politici dell’IRA, e 10 vi morirono nello sciopero della fame. Fame nel Panopticon, come strategia disperata per essere individui. Il bel film di Steve MacQueen, HUNGER. (enrico pozzi)

YOKO ONO, Amaze, Louisiana Museum (Danimarca)

 

STEVE McQUEEN, Hunger, 2008. La morte per fame di Bobby Sands nel MAZE

Esattamente 40 anni fa, il 18 novembre, oltre 900 cittadini USA morirono nella giungla della Guyana. Un suicidio-omicidio con una bevanda al cianuro. Oltre 200 erano bambini o adolescenti, spesso avvelenati direttamente dai loro stessi genitori spruzzando il liquido in gola  con siringhe.

Il Peoples Temple (scritto così) era una setta religioso-politica californiana, fondata circa 15 anni prima dal pastore Jim Jones. Erano andati in Guyana alla spicciolata dal 1975 per fondare una comunità utopica, Jonestown.

Si sono registrati durante il rito di morte. Ero negli Usa in quel periodo. (continua)

Un documento affascinante e inquietante. Il Sacro del potere cui la Religione serve da supporto marginale.
La catastrofe naturale dell’uragano Harvey toglie potenza alla Potenza carismatica e salvifica di Donald Trump. Occorre ripristinarla in un rito mediatico pubblico gestito dal Pastore Jeffress e da alcuni altri Pastori sapientemente multirazziali. Arcaiche le parole. Arcaico il cerchio dei corpi e il toccamento delle mani protese, gesto esemplare della taumaturgia e circuito corporeo della Potenza restituita. Arcaici i richiami alla Coppia Regale Divina. Arcaiche le posture dei volti, entusiaste di dio. Arcaico il tono.
Tutto arcaico, nel cuore della modernità. Il disincantamento del mondo così fragile rispetto alla domanda di incantamento che sale dalla paura.
Il corpo di Donald Trump, nella sua pochezza e nella sua maschera ridicola, è irrilevante. E’ un altro corpo, il doppio Corpo del Re Taumaturgo. Kantorowicz e Marc Bloch, con sullo sfondo il Potere carismatico weberiano che cerca di restaurare la prova del suo rapporto privilegiato con la Potenza, la capacità di tenere a bada la Natura catastrofica.
Da vedere e rivedere. (enrico pozzi)

Mostra di Arman a Palazzo Cipolla, in via del Corso, a Roma.

Avevo visto cose sue al MoMA, a una mostra su Pierre Restany e il Nouveau Réalisme a Milano, poi un paio di opere alla Benesse Foundation di Naoshima, nello stupendo spazio ascetico progettato da Tadao Ando. Vado pieno di aspettative.

Prima dura prova: sulla parete il testo introduttivo di Emanuele Francesco Maria Emanuele, banchiere in discesa, che si definisce “discendente da una delle più illustri ed antiche casate storiche della Spagna e dell’Italia Meridionale”. Non mi risulta, ma sopravvivo.

Scopro poi che il curatore è Germano Celant. Altro momento difficile. Ma più avanti ci sono le opere, 50 anni di opere.

I violini, scomposti e fatti a pezzi “à la mode cubiste” di Braque e Picasso. Le serie: di macchine da scrivere, di sveglie e orologi, di scarpe, ecc.(continua)

Compro un libro di Massimo Recalcati, Il mistero delle cose. Nove ritratti di artisti  (Feltrinelli, 2016). Diffido, ma c’è un capitolo su Burri, e non resisto.Tono subito enfatico, credendosi intenso, ma tant’è: me l’aspettavo.

Capito su queste righe: “la pratica dell’arte costeggia l’abisso del reale, è una rotazione intorno all’impossibile, al mistero assoluto della vita e della morte. E’ un modo per circoscrivere e per custodire l’assoluto innominabile“.

Ohibò. Da una vita cerco di educare me stesso e i miei studenti a non scrivere e soprattutto a non ‘pensare’ così. Da una vita evito i colleghi psicoanalisti afflitti dal “mal franzese”, il roboante decadentismo.

Ho chiuso il libro. 29 euro buttati. (enrico pozzi)

 

E’ morto ieri a New York Vito Acconci, 77 anni, poeta, video e body artist, performer, architetto, instancabile sperimentatore.

Il più grande.

Solo gli Azionisti viennesi reggono il confronto. La maggior parte degli altri fanno figura di stanchi imitatori, macchiettisti, o puri e semplici gigioni.

Ero a New York nel gennaio 1972, alla Sonnabend Gallery di Chelsea, mentre era in corso Seedbed: nudo, sotto un falso pavimento, Acconci si masturbava senza fine blaterando in un microfono fantasie sessuali sui visitatori. Indimenticabile messa in scena e in atto di un desiderio tanto illimitato quanto inutile.

Il video qui: 

Vito Acconci, Seedbed, 1972

(continua)

1888, a Whitechapel, un quartiere povero e malfamato di Londra. Tra il 31 agosto e il 9 novembre, un serial killer uccide, sventra e mutila sessualmente almeno 5 prostitute. In un messaggio si firma Jack the Ripper. Malgrado indagini imponenti, non verrà identificato. Nell’opinione pubblica e nelle rappresentazioni sociali dilaga però la certezza che sia un Ebreo.
Un grande storico della medicina e del corpo, Sander Gilman, esplora il lavorio dell’immaginario collettivo intorno a questo collegamento tra la Puttana, l’Ebreo e il serial killer sessuale.
Pubblicato sulla rivista IL CORPO, n. 4/15. A novembre ne ILCORPOEDIZIONI la traduzione dell’intero libro di Gilman, Il corpo dell’Ebreo.

https://www.ilcorpo.com/it/rivista/dicembre-2015_56.htm

 

Il cadavere mutilato di Mary Jane Kelly, uccisa il 9 novembre 1888

L’immagine ‘ebrea’ di Jack lo squartatore, "Illustrated Police News", settembre 1888

 

 

 

Il confine attraversa tutto ciò che Ingeborg Bachmann ha scritto ed è stata.  Confine tra le parole e il mondo. Confine tra le persone, i generi, i corpi, le lingue. Confine tra gli spazi, le appartenenze geografiche, le identità molteplici. Confine al tempo stesso insuperabile e irrinunciabile. Pelle, e come la pelle involucro dell’io, diaframma e contatto, sintesi tra ferita e corazza,  pronto ad accogliere  – spesso, ad accogliere il niente – e destinato a bruciare.  Non basta essere Ondina, ‘liquido’ alter ego della Bachmann, per potersi esimere dal confine, e salvarsi dal fuoco. L’acqua non può spegnere nulla, perché è solo «un confine umido tra me e me».

Tracce del confine ovunque. Nei frammenti proposti qui. Ma anche in molti racconti del Trentesimo anno, in Malina, nelle pagine sul Muro di Berlino,  in In cerca di frasi vere, nella corrispondenza con Paul Celan e con Hans Werner Henze, in altre corripondenze private – oltre 800 lettere, frammenti ecc – non ancora rese accessibili, se lo saranno mai.  E poi ancora in quasi tutto il resto della sua scrittura.

Luogo geometrico di questo confine: il rapporto con il tedesco, lingua-madre, rinnegata senza fine, tradita, tradotta, spesso odiata, eppure così irrimediabile, ferita che non accetta rimedio o cura.

https://www.ilcorpo.com/it/rivista/dicembre-2015_56.htm

Da Invocazione all’Orsa Maggiore, V (tr. di Luigi Reitani, rivista)

Perché nulla ci separi, è d’obbligo il distacco;
nell’aria uguale si sente il taglio uguale.
Dell’aria son solo i confini,
di notte il vento a passi li rimargina.

Ma noi vogliamo parlare di confini,
e siano i confini pur in ogni parola:
per nostalgia li attraverseremo
e saremo in armonia con ogni luogo.

 

Ingeborg BACHMANN, 1959

 

 

Joan Snyder è una pittrice newyorchese affermata, e largamente sopravvalutata. I suoi «stroke paintings» degli inizi degli anni 70 furono considerati una innovazione potente, la rivisitazione decostruzionista della pittura astratta. A me sono sempre sembrati sì e no  ‘carini’. Recitanti, rassicuranti, adatti ai salotti di una borghesia ‘illuminata’ in cerca di qualche prudente brivido (estetico).

Il Metropolitan ha acquisito il cubo di cemento del vecchio Whitney ideato da Breuer sulla Madison Avenue e l’ha trasformato nel sua sezione di arte contemporanea. Giro per il 4° piano, la mostra Unfinished, e capito su Heart On. Non riesco a staccarmi. Tanto cerebralismo curatoriale nelle sale precedenti, e ora questa ‘cosa’ che sa di pancia, di corpo,(continua)

In memoria di Verlaine posseduto da Rimbaud.

La vocazione all’annuncio mortuario che caratterizza twitter mi ha ricordato che 120 anni fa è morto Paul Verlaine. Poeta, ma non grande poeta. Lieve, dolce, a volte dolciastro, così implacabilmente musicale, come il Rilke peggiore. La sua immediatezza facile – chi lo ama direbbe: ingannevolmente immediata e facile – fece scegliere due suoi versi come segnale dall’Inghilterra ai partigiani francesi che stava per avvenire lo sbarco di Normandia: Les sanglots longs des violons de l’automne / Blessent mon coeur d’une langueur monotone. Già, un languore monotono.

Gli nuoce la vicinanza e la relazione con Rimbaud, così tanto più grande. Alla fine è Rimbaud che lo salva nella memoria della poesia, il povero “vierge folle” della Saison en enfer, un ritratto così terribile e potente da rendere Verlaine grandioso malgrado se stesso, immortale per contiguità.

Ed è sempre Rimbaud a salvare poeticamente Verlaine anche dopo aver scelto da tempo il silenzio della poesia. Nel 1889 giunse a Verlaine la notizia (falsa) della morte del suo ex giovane amico (morirà due anni dopo, nel 1891). Ne uscì Laeti et errabundi, straordinaria poesia d’amore che nega la morte. All’imbolsito stanco e così adulto Verlaine scoppia la pelle dell’Io, fino ai versi incontenibili della parte finale: 

                                    Mort, vous, 
Toi, dieu parmi les demi-dieux! 
Ceux qui le disent sont des fous. 
Mort, mon grand péché radieux 

Tout ce passé brûlant encore 
Dans mes veines et ma cervelle 
Et qui rayonne et qui fulgore 
Sur ma ferveur toujours nouvelle!

Mort tout ce triomphe inouï 
Retentissant sans frein ni fin 
Sur I’air jamais évanoui 
Que bat mon coeur qui fut divin!

Da leggere di corsa, in pericoloso ricordo di Eros che fu.

Magari con l’aiuto di chi meglio di chiunque altro ha saputo reinventare la flânerie fanciullesca e maledetta attraverso le ‘zone’ della Metropoli: Wojnarowicz/Rimbaud a Manhattan, come Verlaine/Rimbaud a Londra: https://www.ilcorpo.com/…/rimbaud-flaneur-a-new-york-via-wo…/ 

 

 

 

 

Il giorno dell’immacolata concezione mi pare quello giusto per discutere razionalmente di utero in affitto, o della più ‘igienica’  “maternità surrogata”.

Imperversa la thinkpol orwelliana, la polizia del pensiero. Basta niente, e ci si ritrova omofobi, o criptofemministi, o lgbt onorari, o patriacalfamilisti, o crociati antigender, o body snatcher o innamorati-dell’onnipotenza-dell’amore, o legge-e-ordine-contro-l’amore ecc… Subito etichette. Di pensiero senza etichette: poco, percepito con fastidio. Però proviamoci, a costo di riuscire complicati e noiosi.

Tanto per acquietare subito i poliziotti del pensiero: non intendo schierarmi pro o contro l’utero in affitto. (continua)

Soldati, uomini spettri e artisti sciamani, chiamati a commemorarli. Opere macerie estratte dalla collezione del MOMA e rivitalizzate da un setting interpretativo che trasforma le sale bianche del museo in un campo di battaglia. Le pareti diventano fantasmi animati di lame, volti ragni, carne ridotta a geometria di morte. 

Soldier, Spectre, Shaman: The Figure and the Second World War è la mostra. Le immagini che seguono raccontano la sua impronta, le ombre dei fantasmi che mette in scena.  

Shadow of Lee Mullican, Presence, 1955

Shadow of Lynn Chadwick, Inner Eye, 1952

Shadow of Lynn Chadwick, Inner Eye, 1952

Shadow of Maria Martins, The Impossible III, 1946

Shadow of David Hare, Figure waiting in cold, 1951

Unknown Shadow

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 20 ottobre 1854, 161 anni fa, nasceva a Charleville Arthur Rimbaud, il più grande poeta dell’età contemporanea. Leggerlo è stata ed è un’esperienza fondamentale della mia vita.

Le parole su di lui sono tutte consumate: il Voyant, il «poète maudit», l’addio definitivo alla poesia a 20 anni, i mille mestieri in giro per il mondo, il mercante d’armi e d’altro in Africa, la morte a 35 anni ecc ecc: tutto il falpalà eroico-negativo che rassicura i filistei. Allora meglio il diciottenne in fuga a Londra con Paul Verlaine (che per lui lascia la moglie). Sopravvivono rifugiati nelle case degli esuli della Comune di Parigi, si amano, si odiano, si feriscono a rivoltellate: una «Saison en enfer». Ironicamente, dimentichiamo i battelli ebbri, le vocali e le illuminazioni. Dedichiamoci all’Album Zutique, agli Stupra, al Sonnet du Trou du Cul: roba seria, parola antiestetica che viene dal profondo del corpo, e dunque iperestetica.

Il più intenso monumento a Rimbaud lo ha costruito David Wojnarowicz, un prostituto attivo per qualche anno a Times Square,(continua)

Louis Althusser, Des rȇves d’angoisse sans fin. Récits de rêves (1941-1967), a cura di O. Corpet e Y. Moulier-Boutang, Paris, Grasset, 2015, 20€.

     Mattino del 16 novembre 1980, Parigi, Rue d’Ulm, École Normale Supérieure. Il filosofo Louis Althusser, prestigioso docente della più prestigiosa delle Grandes Ecoles francesi, si precipita nel cortile. Ha strangolato la moglie, l’inseparabile Hélène Rytmann, che non ha opposto resistenza. Riconosciuto incapace di intendere e volere, evita il processo. Muore nel 1990.

     Althusser era stato forse il più interessante filosofo marxista degli anni 60-70, (continua)

Recensendo un volume utile sul caso Ellen West, ho scoperto nell’ultima pagina una collana che non conoscevo: Psicopatologia, dell’editore Fioriti, diretta da Mario Rossi Monti.

Quasi tutto da leggere: Schneider, Ballerini, Cargnello, Straus, Minkowski, lo stesso Rossi Monti. Molta scuola fenomenologica. Contributi italiani importanti e irreperibili: per es. Cargnello sul caso Ernst Wagner o su Binswanger. Alcuni classici della psichiatria ormai introvabili anche nei reprint, come Binet sulle alterazioni della personalità. Ovviamente molto sulla paranoia, come ci si può aspettare da Rossi Monti. Ricordo ancora l’emozione cognitiva intensa provata leggendo La conoscenza totale nel 1984, e da allora punto di partenza del mio interesse interminabile per il discorso paranoico e i suoi rapporti con le produzioni sociali raziocinanti, le ideologie, le pseudo-scienze, il potere, l’organizzazione razionale dei massacri. Così ecco finalmente in italiano Sérieux e Capgras sulla “folie lucide”, una lettura e rilettura sempre feconda. O la ristampa di La vergogna e il delirio. 

Una riflessione e una annotazione. Ho provato a parlare con colleghi psicoanalisti e psicoterapeuti spesso più giovani di questi testi e di altri classici della psichiatria che magari aspettano una versione italiana. Ne sanno poco e più spesso niente. Poi magari – i migliori – si districano agevolmente nei labirinti teorici di una psicoanalisi ormai quasi priva di centro, manovrano micromodelli concettuali spesso solipsistici, incapaci di senso comunicabile fuori dalle società psicoanalitiche. Sfugge loro il corpo a corpo complesso e carico di pathos euristico che ha caratterizzato la psichiatria della seconda metà dell’800 e del primo ‘900: il tentativo di riconoscere, classificare e gestire stati-limite del comportamento psichico/somatico, lo sforzo per una evidence-based psychiatry, l’affinamento della capacità di descrivere (si leggano le straordinarie descrizioni cliniche di quegli anni!), la tensione verso procedure di cura, la produzione spesso sofferta di quel setting speciale di contenimento e conoscenza chiamato asilo/manicomio ecc. C’è in quella psichiatria una ricchezza dinamica capace di coinvolgere anche a distanza di un secolo. La condanna aristotelica della conoscenza dell’individuale vi si scontra con la insopprimibile presenza di individui e di narrazioni individuali da ‘conoscere’ in quanto tali, l’approccio genotipico si dibatte nella rete dei fenotipi. Ne risultano – certo non sempre –  tensione e pregnanza: vitalità. Non se ne può fare a meno.

L’annotazione: i volumi che ho visto sono carenti sul piano editoriale. L’impaginazione, le immagini, la cura dei testi segnalano disattenzione e talvolta sciatteria. Per rimanere al volume su Ellen West, nel solo saggio di Marta Rizzo ho contato oltre 20 errori, sviste e parole mancanti. Peccato. Questa psichiatria non lo merita. (enrico pozzi) 

A quanto pare, sarebbe in arrivo la traduzione francese di La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, uscito postumo a Torino nel 1977 da Einaudi  (nuova edizione a cura di Clara Gallini nel 2002).

Lo annuncia un seminario che si è svolto nel 2014-2015 a Parigi, nell’ambito dell’École des Hautes Études di Bd. Raspail, quella EHESS che dovrebbe anche pubblicare il testo. Organizzatori del seminario: Giordana Charuty, Daniel Fabre e Marcello Massenzio (non c’è bisogno di presentarli). Titolo:  Traduire De Martino: l’atelier conceptuel de l’anthropologie italienne. Bel titolo, più vicino alla nostalgia e alla speranza della self fulfilling prophecy che non alla realtà. Francamente nell’antropologia italiana di de Martino rimane ben poca traccia. Non tanto concettuale – questo qualcuno potrebbe anche crederlo il segno di una crescita teorica e di presenza della corporazione antropologica accademica, del che dubito – quanto di stile mentale, di pathos del pensare. C’è in de Martino una percezione tragica (continua)

P., 40 anni, dermatologa. Ha cancellato il sesso dalla sua vita. I rapporti col marito, la masturbazione, le fantasie, le parole. Nel gruppo d’analisi, si è consolidato il copione: tutti riescono a parlare di sessualità, a condizione che lei non ne parli. Vergine sacrificale garante del desiderio inesprimibile, permette ai compagni di esprimere desideri quasi indicibili.

La talpa scava e il copione perde efficacia. La spinta sessuale del gruppo diminuisce. Aumentano l’indifferenza, il disgusto e il rifiuto di ciascuno per il/i partner, con sconcerto poi con rassegnazione. In silenzio svaniscono gli amanti, le prostitute minorenni, i sogni. La sessualità di tutti si riversa via via nella vergine, la colma, e vi si perde. P diventa sovraccarica di sesso negato, (continua)

Jim Jones è stato il fondatore, il capo carismatico e il pifferaio paranoico del People’s Temple, la comunità religiosa californiana che si è suicidata in massa – 1012 morti – nella giungla della Guyana il 18 novembre 1978. La famiglia del Reverendo era atipica. 1 figlio dalla moglie Marceline e altri 8 adottati nel corso degli anni: Indiani Americani,  Asiatici, Neri, caucasici ecc. Jones la chiamava la “Rainbow Family”, la Famiglia Arcobaleno. 

Come il People’s Temple, la Famiglia Arcobaleno era il prolungamento fantasmatico dell’Io e del corpo del Capo. Il gruppo esisteva in quanto Io-folla di Jones, il contenuto cui il corpo del Reverendo serviva da pelle psichica e sociale insieme: Body Natural e Body Politic in una perfetta e mortifera incarnazione dei «due corpi del Re» (Kantorowicz). La Famiglia Arcobaleno conteneva in sé tutti i colori possibili della realtà, tutte le ‘etnie’ umane: una Famiglia-Mondo, stenogramma dell’umanità. Tramite la sua Rainbow Family, Jones perdeva il confine e i confini, diventata illimitato uomo-specie, incarnazione dell’universale, figura corporea di ogni possibile vivente, il luogo geometrico corporeo dell’onnipotenza divina: essere il padre di ogni vivente possibile, essere tutti, il tutto.(continua)

 

Non lo dimenticherò finché vivo.

1967, nel più improbabile dei luoghi, il Teatro Parioli, Roma, al cuore del quartiere piccolo-borghese che si pretendeva medioborghese. 21 anni. con quella che poco dopo sarebbe diventata la mia prima moglie.

Nessuna scena, solo fondali grezzi, travi, corde penzolanti, uno spazio senza vie d’uscita, Carceri piranesiani, luci senza grazia o pietà.

In programma l’Antigone di Brecht, via il Living Theater. Mai amato Brecht, al massimo sopportato, quel didascalico pedagogico greve di realtà. Ma c’era il Living. Dal 1966 la mia famiglia aveva affittato per Julian Beck e Judith Malina un appartamentino dietro Santa Maria in Trastevere. Era per 4, ci vivevano in 15. Ogni settimana qualche telefonata del Commissariato di zona, per impicci d’ogni genere. Ma adesso stavano per andarsene quasi tutti al Castello di Rocca sinibalda, ospiti, a far laboratorio, e lì ci sarebbe stato tanto spazio. 

Si parlava di loro nella Facoltà di Lettere e Filosofia occupata. Ero curioso, avido. A Berlino, Herbert Marcuse aveva già sancito “la fine dell’Utopia”, game over. In qualche modo l’enorme fiume di parole ‘alte’ e ideologiche che avvolgeva i più vivi di una generazione cominciava a sapere di morte, pensiero paranoico senza confini. Cercavo qualcosa, parole non consumate, forse gesti, di sicuro segni primitivi, corpi.

Il pubblico era quasi tutto in giacca, educato, nel buio. Lo ‘spettacolo’ non inizia. 15 minuti, 20, 30, 40. Poi inizia l’urlo. Non un grido, ma un urlo isolato e senza fine, ineducato, una voce sola e potente, da qualche parte laggiù nel Carcere d’invenzione, non da una gola ma da un ventre. Pian piano altre urla, a palcoscenico vuoto, un coro prima dell’umano e della storia, indifferente al senso e all’armonia, om senza pretesa di senso, potenza sonora del caos. Alcuni corpi praticamente nudi, donne e uomini, belli di forza non di bellezza, cominciano materializzarsi e invadono la scena a piccoli movimenti lenti, senza toccarsi o guardarsi, monadi sonore sparse sul palcoscenico, ognuna sola a se stessa. All’improvviso altri corpi nudi e urlanti scendono da dietro in mezzo alle poltrone, lentissimi, verso il palcoscenico ma restii ad arrivarci. Lo spazio intero del teatro è diventato una matrice carnale e sonora insieme, uno spazio-ventre regressivo, vicino alla origine. 

Il resto è stato Antigone, tableaux vivants, corpi-macchina e grandi macchine di corpi, pelle contro pelle, l’apollineo che mette in scena il dionisiaco, la voce del ventre che sfida il logos e il nomos della Legge di Creonte, la violenza del potere, il suo sadismo carico di desiderio, la carne morbida della vittima, il faustiano Regno delle Madri che si oppone alla legge del Padre e inghiotte senza fine l’Io nella forma-utero della sua danza, l’Io che cerca il confine della sua individualità e lo perde di continuo nel gruppo-massa di carne che lo avvolge.

Bello, ma per me la ‘verità’ è stata tutta in quel primo urlare corale di corpi sonori denso di carne e sesso e sconfinato addosso a noi, a me. In pochi minuti era saltato un paradigma, il ‘teatro’ era diventato qualcosa che non avevo mai ‘sentito’ che potesse essere, la perdita del limite, il dissolversi dell’Io abbandonatosi nel “sentimento oceanico” (Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io). Diventare magma e folla, disperdersi. Il rito non come liturgia ma come transe ec-statica. 

Sono tornato nei giorni successivi a vedere altri ‘spettacoli’: da Les Bonnes di Genet, i Misteri. Poi negli anni ho inseguito le tracce nomadiche del Living, i suoi frammenti dispersi, un po’ ovunque. Spezzoni di filmati – The Brig di Jonas Mekas è l’unico compiuto. Apparizioni qua e là: la maschera straordinaria di Julian Beck  per es. il Tiresia nell’Edipo Re di Pasolini. Altri ‘spettacoli’: Frankenstein, Seven Meditations on Political Sadomasochism nel 1974 a New York. Paradise Now, diseguale, contenitore nel quale il Living metteva tutto di sé cercando di afferrare lo spirito dei tempi quando quei tempi erano già finiti; eppure indimenticabile. 

Grado zero del teatro. Quella sera al Parioli in qualche modo è venuta meno la mia possibilità di sperimentare ancora il teatro, di viverlo di nuovo in altri modi degni. Ho cercato con ostinazione, ma sempre deluso. Ingiustamente deluso, lo so. Qualche sprazzo di speranza ogni tanto: le 120 giornate di Sodoma di Giuliano Vasilicò al Beat 72 di Roma, visto in amore clandestino, com’era giusto. Kantor, forse. Per il resto, la noia, tanta. Il déjà vu, tantissimo.

In Paradise Now torna ossessiva una frasetta presa dalle ultime pagine di The Politics of Experience, di Ronald D. Laing. “I have seen the Bird of Paradise. I’ll never be the same again”. Elogio decadente della psicosi come follia in Laing. Richiamo al dolore nostalgico dell’Utopia, in Julian Beck e Judith Malina: chi è stato ferito dall’utopia non potrà mai rimarginare la ferita, è condannato a desiderare il Paradiso Ora. Magari come Giardino Incantato all’origine di tutte le favole possibile, “nei tempi antichi, quando desiderare serviva ancora a qualcosa”, come scrivono stupendamente i Fratelli Grimm nell’incipit della prima favola della loro raccolta. O magari, per sua ventura e sventura, come il Kubla Khan di Coleridge, Perché di rugiada e miele si è nutrito/E ha bevuto il latte del paradiso.

Per me solo grado zero, teatro che ha sancito, per me,  l’impossibilità di ulteriore teatro. Un altro modo per dire la fine dell’utopia, e il suo ricordo come faglia irriducibile della realtà. Questo è morto e non è morto con la morte di Judith Malina. Si usa dire: Riposi in pace. Ma questo serve solo a rassicurare i vivi che è possibile mettere una pietra tombale sul desiderio. E allora: che Judith Malina si agiti, inquieta, per sempre. (enrico pozzi)

Masse di corpi

Masse di corpi

 

Julian Beck e Judith Malina

 

Julian Beck in Antigone (da B. Brecht e Sofocle)

Già da anni Marina Abramovic ripete stancamente il kitsch di se stessa, per se stessa e per i true believers di cui si circonda. Gli accoppiamenti con gli scheletri e con la terra alla Bicocca nel 2006 (la patetica Balkan Epic; vedi il Diario che ne parla) avrebbero dovuto mettere in guardia. Ma la carica libidica del suo corpo ancora riusciva a nascondere l’ovvio, la crisi creativa, la mancanza di idee, la povertà della narrazione. Ora il corpo ha dieci anni di più e non se la passa tanto bene, l’eros langue, il voyeurismo fatica a scattare. Servono idee per restituire carne alla carne. Ma la carne tace, e resta solo il cerebralismo di riti/performance senza verità, sine ira et studio, da burocrati del narcisismo. Se ne stanno accorgendo tutti. Alla Serpentine Gallery (continua)

 

Domenica pomeriggio di sole al MART, Rovereto. 

Arrivo da lontano per vedere la mostra di El Lissitzky. Pubblicità a pagina intera sull’inserto Cultura del Sole 24 Ore, lanci redazionali e la foto del bacio russo dappertutto. La mia ragione è Il costruttore del 1924, forma/figura umana del costruttivismo russo. Non può non esserci.

Parcheggio facile e vuoto. La grande Cupola trasparente della simil-Piazza interna. Un muro poderoso sbarra la vista delle montagne, la cosa più bella che Rovereto ha da mostrare. L’altrimenti grande Mario Botta pensava alle cose sue quando ha fatto il progetto.(continua)

Da qualche anno nel linguaggio aziendale e nei progetti di “responsabilità sociale” si va affermando la parola diversity, talvolta, non sempre, accompagnata da inclusion.

La diversity più conosciuta e riconosciuta  è la gender diversity, ma non è sola, se ne aggiungono progressivamente altre: di orientamento sessuale, di religione, di età, di dieta! Arrivano in forza i diversity manager pronti ad individuarne il più possibile! Il tutto per una buona causa, riconoscere “i diversi”  per garantire pari accesso  o semplicemente “includerli”. Purtroppo però diversity è una di quelle parole trappola che si trasformano sottilmente nel proprio contrario. Ecco 3 buoni motivi per liberarcene il prima possibile. (continua)

 

Un tempo gli psicoanalisti mangiavano il mondo. Ora leggono i Bollettini di psicoanalisi.

Dispiace dire questo partendo da una delle poche cose interessanti di matrice psicoanalitica che ho letto ultimamente. Per l’appunto un Bollettino della European Psychoanalytical Federation, il n. 67 di Psychoanalysis in Europe. Sono gli atti di un convegno della EPF a Basilea, 21-24 marzo 2013.

Il tema è bellissimo: Formlessness: Deformation, Transformation. La perdita della forma come campo, precondizione, strumento, procedura delle deformazioni che consentono le trasformazioni. Meglio: delle deformazioni che precedono le trasformazioni, continuano a sabotarle dall’interno come fessure costanti di perdita di forma, e diventano lo stadio successivo e sempre transitorio della trasformazione che insiste a deformarsi e introduce nuove trasformazioni possibili. 

 

Ben Miller, The Amorphous Blob of Human Experience

(continua)

Dopo anni di indifferenza, finalmente alla Fraenkel Gallery di San Francisco una mostra importante per le foto di Peter Hujar, la prima abbastanza completa dopo le retrospettive del 2005 al Moma PS1 (Brooklyn), e allo Institute for Contemporary Arts (Londra) nel 2007.

Morto di Aids a 53 anni, Peter Hujar è stato uno dei grandi protagonisti della vita artistica dello East Village newyorchese negli anni ’70 e ’80. Mentore di alcuni, conosciuto da tutti, amato e/o odiato da molti, ha costruito un universo iconico forse unico in quel periodo per rigore formale e tematico. Corpi: soprattutto di uomini del popolo gay del Village (continua)

[L’invenzione dell’A.D.H.D – Attention Deficit Hyperactivity Disorder, perché i bambini non possono più essere “cattivi”, ma solo malati]

The Selling of Attention Deficit Disorder

di Alan Schwarz, New York Times, 14 dicembre 2013

 

[fumetti, identità, immigrazione, sincretismi, a Parigi la mostra: Albums. Bande dessinée et immigration 1913-2013]

Dalle avventure di Asterix alla tragedia di Lampedusa passando per la nostalgia di Superman. In mostra a Parigi un secolo di migrazioni raccontate attraverso le strisce dei fumetti e le biografie di chi li ha disegnati

Supereroi in cerca di casa

di Siegmund Ginzberg, la Repubblica, 15 dicembre 2013, p. 37

 

[Udacity: la formazione universitaria online non funziona, solo il 7% supera l’esame finale e solo il 4% completa il corso; altre accademie digitali: Coursera e edX]

I riscontri sulla proposta educativa che aveva lanciato deludono lo scienziato Sebastian Thrun. Sollievo degli atenei tradizionali

Dietrofront, cari studenti in rete. L’università online non funziona

di Massimo Gaggi, la Lettura, 15 dicembre 2013, p. 4

 

[iloveyourwork: Jonathan Harris realizza un’etnografia visuale della vita quotidiana di 9 donne nel porno lesbico]

Documenta. Un lavoro appassionato e molto intimo

di Chiara Campara, la Lettura, 15 dicembre 2013, p. 8]

 

[arte digitale; Julia Kaganskiy: nuovo incubatore arte, design tecnologia del New Museum di New York; piattaforme online per l’arte digitale: openframework; artisti digitali segnalati: Julian Olivier, Dunne&Raby, Lauren McCarthy]

Centri – Julia Kaganskiy, 28 anni, dirigerà l’incubatore del New Museum di New York. “E’ nata una nuova classe culturale”

A me gli hacker, anzi gli artisti

Con internet tutto il processo creativo diventa opera

di Serena Danna, La Lettura, 15 dicembre 2013, p. 16

 

[Vincenzo Padiglione: Poetiche dal museo etnografico; AM – Antropologia museale, Itri: Museo del Brigantaggio]

L’Istat censisce le (fondamentali) istituzioni legate al territorio

Mille musei etnografici: un caotico primato italiano

di Adriano Favole e Vincenzo Padiglione, La Lettura, 15 dicembre 2013, p. 17

 

[Morozoz, sensori emozionali, misurazione integrale dei linguaggi verbali e non verbali]

Allo studio strumenti capaci di riconoscere quando le persone sono più vulnerabili e quindi più ricettive ai consigli promozionali

Stai piangendo? Ti vendo i fazzoletti

Merci su misura al momento giusto: i sensori leggono le emozioni e pilotano gli spot

[di Evgeny Morozov, la Lettura, 8 dicembre 2013, p. 7]

 

[Singularity University, hamburger stampato in 3]

Tra vent’anni ci opereranno i robot

Il caso di Amanda: sulla sedia a rotelle, può alzarsi e camminare grazie a un esoscheletro. “E’ vicino il giorno in cui un americano cieco riuscirà a comunicare con un bulgaro sordo”

[di Cristina Gabetti, la Lettura, 8 dicembre 2013, p. 8]

 

[Silvio Garattini, Nature, oscurantismo italiano]

La nuova legge sui test animali è contro la scienza

Vietato allevare cani, gatti e primati, vietato sperimentare droghe sugli animali (per capirne la tossicità sull’uomo), vietati i trapianti fra specie diverse. Mentre gli animalisti esultano, l’autorevole rivista Nature avverte: è un fallimento tutto italiano. E per gli scienziati queste regole impediranno il progresso verso farmaci e terapie più efficaci.

[di Silvio Garattini, Panorama, 11 dicembre 2013, p. 48]

 

Un manifesto per i Big Data  [di Serena Danna, La Lettura, 24 novembre, p. 6]

Il 15 novembre al Massachusetts Institute of Technology di Boston, il SENSable City Lab ha organizzato Engaging Data 2013, giornata di studio sui Big Data a partire dall’effetto Snowden. Utile, importante, fondamentale l’autocritica e il ripensamento. Meno utile, continuare ad utilizzare il concetto/valore di trasparenza come se dovesse bastare la chiarezza sull’uso delle informazioni  raccolte e sul loro utilizzo a trasformare i Bad Data in Good Data. Dobbiamo interrogarci sulle componenti emotive delle nuove strategie di costruzione dell’identità del soggetto. Perché c’è bisogno di condividere ogni viaggio, ogni festa, ogni cena, ogni parto su Facebook? La regolamentazione sull’uso dei dati deve andare di pari passo con la costruzione sociale dell’importanza e del valore della priviacy e con la rifondazione del desiderio di intimità.

 

L’ossessione dell’apparenza  [di Gabriele Romagnoli, la Repubblica, 24 novembre, p. 43]

1. Ricordati che anche se non appari continui ad esistere ugualmente …“: un decalogo per cominciare a ridiventare intimi, innanzitutto con se stessi.

 

Elogio della discrezione  [di Anais Ginori, la Repubblica, 24 novembre, p. 42]

Intervista al filosofo Pierre Zaoui che ha pubblicato La Discrétion: Ou l’art de disparaître. Selfie, l’autoritratto con smartphone condiviso sui social media, è la parole del 2013: l’uso è cresciuto del 17mila % in un anno. Zaoui contrappone all’ossessione dell’apparire, la definzione di discrezione di Proust:” E’ il privilegio di poter assistere alla propria assenza “. Per Zaoui la discrezione diventa:” Una forma di dissidenza nella società panopticon in cui tutto e tutti è guardato, osservato, schedato “.

Rinasce Forza Italia, Berlusconi ripete il discorso del ’94 [Repubblica TV, 16 novembre]

Nel giorno della rifondazione di Forza Italia, Berlusconi reitera il mito fondativo delle origini: il discorso del 1994,  quelle parole icona che  custodiscono il carisma che il suo corpo non riesce più a garantire, se non nella forma sacrificale del corpo malato/immolato per il gruppo. Roger Callois, in L’Homme et le Sacré, racconta la festa rituale come reiterazione del mito delle origini: età dell’oro di ogni carisma, precedente a ogni strutturazione nel mondo sociale secondo classificazioni e regole istituite, opposta al tempo storico che è “ordine, forma e sistema di interdizioni”. Ma in che misura la reiterazione funzionerà, abolendo simbolicamente il tempo storico della crisi e ricostituendo il tempo mitico del sogno?  O Berlusconi è già un fantasma, come gli sticker di Jim Jones che circolano a Roma? Può aiutare rileggere un’analisi del discorso del 1994: Il discorso di Berlusconi e il sogno di R., che cercava di riprodurre le dimensioni chiave del dispositivo onirico-carismatico nascente.

 

Da vedere in Europa  [la Repubblica, 17 novembre, p. 47]

Il surrealismo e il sogno, Thyssen-Bornemisza Museum, Madrid, fino al 12 gennaio.

La “vitalità senza fine” del surrealismo si impossessa dell’Europa. Dopo Parigi, anche Madrid ci porta sulle tracce dell’inconscio.

 

La crittografia difende la nostra privacy, ma è una resistenza sempre più debole  [di Fabio Chiusi, La Lettura, 17 novembre, p. 10]

Criptare non è solo un problema tecnologico o uno strumento di “ribellione” di hacker e sottoculture digitali. Deve diventare un nostro diritto primario, per il quale cercare e rivendicare strumenti accessibili e di massa, perché per ora, di massa, è solo il controllo. Per iniziare possiamo cominciare e sostenere l’attività di Dark mail, perché finalmente anche dark, criptato, privato, invisibile diventino parole socialmente desiderabili e non solo open data e trasparenza.

 

I social network non capiscono che siamo mortali [di Massimo Sideri, Corriere della Sera, 10 novembre, p. 21]

Cosa succede al’io digitale quando l’io anagrafico muore? Come scrive Sideri, la cancellazione di un profilo nei social network al momento della morte non può essere solo un fatto burocratico, ma non può essere neanche delegata alle regole che si sottoscrivono al momento dell’iscrizione. Non è come interrompere il contratto elettrico o telefonico. Richiede un’elaborazione del lutto da parte del noi digitale che condivideva con il defunto lo spazio sociale virtuale. Ancora nella fase liminale del rito di passaggio, l’Io digitale del morto non è più vivo ma neanche ancora completamente morto e sepatarato dalla comunità dei vivi. Come nelle descrizioni etnografiche di Hertz (1904), si tratta di inventare nella contemporaneità una “doppia sepoltura” reale e virtuale per rispettare l’identitià del morto e per proteggere i sopravvissuti dalla minaccia del suo fantasma.

 

Banski non salva il “museo” dei graffitari [di Giuseppe Guastella, Corriere della Sera, 10 novembre, p. 23]

“5 Pointz”, crossroad liminale tra città ufficiale e sottoculture, tra arte del MoMA PS1 (a pochi metri)  e street art anonima e ibrida, verrà distrutto per far spazio a due grattacieli e all’avanzata della gentrification. E’ sempre inquietante quando una città non ha più spazi da dissipare.

 

 

The Future is African [di Karen Rosenberg, The New York Times, 8 novembre]

The Shadow Took Shape“, Studio Museum, Harlem, fino al 9 marzo. 

29 artisti e l'”afrofuturism“: un’estetica del futuro per interrogarsi su memorie e identità della diaspora africana

I governi nell’era dei “Big Data”: democrazia ostaggio della tecnologia  [di Serena Danna, Corriere della Sera, 26 ottobre 2013,  p. 12

Morozov al telefono da Boston nell’intervista di Serena Danna:                                                                                                      « Più informazioni riveliamo su noi stessi […] più densa e invisibile diventa la rete spinata che ci attanaglia ».
La trasparenza ci intrappola come la casa dalle mura invisibili del progetto AMAZE di YOKO ONO.

 

 

L’informazione è (molto di più) di un disegno   [di Serena Danna, La Lettura, 27 ottobre, p. 8]

Un altro sguardo sui BIG DATA, sempre di Serena Danna. Questa volta come fonte di conoscenza e di sperimentazione di rappresentazioni visive che sono sempre più un nuovo linguaggio ermeneutico e non una semplice illustrazione. Utile selezione dei 10 migliori  “visual storyteller” al mondo (giuria di qualità internazionale): Gregor Aisch, Pedro Miguel Cruz, Francesco Franchi, Giorgia Lupi, Jane Pong, Stefanie Posavec, Kim Rees, AAron Siegel, Moritz Stefaner, Jan Willem Tulp.

 

Il dottore che cercava le fiabe  [di Paolo Di Stefano, La Lettura, 27 ottobre, p. 10]

Donzelli ripubblica la raccolta di fiabe siciliane di Pitré del 1875, in quattro volumi con traduzione e testo a fronte. Medico, Pitré raccoglieva presso i pazienti, storie, fiabe, aneddoti. Un involontario storytelling terapeutico che potrebbe essere da stimolo alla medicina narrativa: un paziente che non racconta la sua biografia ma la trasferisce in un mondo di simboli e archetipi.

 

I sei gradi di separazione? Con i social network sono diventati tre  [di Leonard Berberi, Corriere della Sera, 20 ottobre p. 27

Eman Yasser Daraghmi e Shyan-Ming Yuan della National Chiao Tung University di Taiwan riducono a 3,2 i 6 gradi di separazione di Milgram, a partire dall’analisi di 950 milioni di utenti di Facebook. Viene voglia di rileggere il geniale esperimento del 1967.

 

For Her Next Piece, a Performance Artist Will Build an Institute  [di Sarah Lyall, New York Times, 19 ottobre]

Il futuro Marina Abramovic Institute, una nuova Bauhaus o apologia di narcisismo e morte della performance art? 

 

L’Art Kanak au Quai Branly: un “événement majeur” pour Ayrault  [Le Monde, 15 ottobre] 

Il Quai Branly e la mostra kanak: interessante commistione contemporanea tra antropologia, politica e vestigia di colonialismo.

 

Il nostro nome finisce sul barattolo. Prodotti per la generazione 2.0  [di Maria Luisa Agnese, Corriere della Sera, 13 ottobre p. 27

La lattina personalizzata è la risposta al biologico? Il biologico e il chilometro zero nascono dal bisogno di merce non standardizzata, quindi di un io non in serie. Natura vs industria diventa bellezza – identità – qualità vs massa – quantità – anonimato. Ora l’industria cerca di rispondere. Sarà efficace? Veramente il consumatore pensa di bere la sua coca cola, come se fosse un prosumer?

 

Pubblicità Google usa gli utenti  [Corriere della Sera, 13 ottobre, p. 16]

Come cercare di renderci inconsapevoli uomini (e donne) sandwich. Un aggregatore automatico di quello che senza badarci disseminiamo in giro.

 

Dave Eggers. L’ologramma della vita   [di Paolo Giordano, la Lettura, 13 ottobre,  p. 2

Eggers non sembra voler raccontare altro che la trama dei suoi libri (cosa che ovviamente ti fa passare la voglia di leggerli). Alla fine, tra le righe, unica segnalazione che incuriosisce: lo scrittore Nyuol Tong che ha curato la prima raccolta al mondo di racconti del Sud del Sudan.

 

Bansky, il graffitaro fantasma che manda in tilt New York. Dipinge di notte la città: fan e polizia gli danno la caccia [di Massimo Vincenzi, la Repubblica, 12 ottobre,  p. 20]

Con Better Out Than In finalmente Bansky restituisce la street art alla città come opera aperta, iscrizione/ferita  contraddittoria e contaminata.

 

 

 

Sequential waves of stickers bearing a Jim Jones’s photo have been flooding many squares and streets in downtown Rome.

Reverend Jim Jones was the founder, and the terminal angel of death, of the People’s Temple, a Californian sect-church which committed suicide with a cyanide-laced soft drink on November 18, 1978. The ritual of self-destruction took place in a rural community the Temple had created in the heart of the jungle of Guyana, and had aptly named Jonestown: 908 dead, including at least 200 children, plus a few others slain and suicidal at the church site in Georgetown.(continua)

Perilous Task of  Innovation in a Digital Age  [di Margaret Sullivan, New York Times, http://nyti.ms/19MQceA

Crociere, native advertising e multimedia storytelling: il programma di sopravvivenza del New York Times.

 

Pictures of a Day Lodged in Memory [di Holand Cotter, New York Times, http://nyti.ms/178Jvpx]

L’International Center of Photography di New York dedica una mostra alla morte di JFK in occasione del cinquantenario. La “morte del re” che non si dimentica, non solo in America. 

 

Calendar: Coming Events in New York, Edinburgh; Albuquerque [di Holand Cotter, New York Times,  http://nyti.ms/19M8VH0

Il festival di storytelling di Edimburgo rilancia la figura del menestrello, del narratore viandante e pellegrino. Il nesso tra narrazione, straniero e viaggio è tra i più interessanti da esplorare. Dal 18 al 27 ottobre.

 

A Palazzo Strozzi le radici del modernismo russo. Da Kandinky a Malevic 179 tra dipenti, sculture, oggetti

L’educazione siberiana. Riti sciamanici e spiritualità indiana. Così l’avanguardia guardava a Oriente  [di Marco Gasparetti, Corriere della sera, p.34]

Una mostra che sembra rilanciare gli sguardi ibridi: storici, artistici, etnografici. A Firenze dal 27 ottobre al 19 gennaio. 

La fotografia nell’era degli smartphone sfida la memoria

L’autoscatto del presente. Fenomenologia e ubiquità del “selfie”. Vincono (forse) vanità e banalità che però colgono lo spirito del tempo   [di Gianluigi Colin, La Lettura, p. 2] 

L’autoscatto con lo smartphone: specchio permanente e puntiforme di un’identità che altrimenti sfugge nella fluidità delle relazioni e degli schemi corporei. Come sono veramente me lo dice l’autoscatto. L’autoscato è un simulacro che dice un’assenza come nel  Ritratto dell’amante.  Oppure è il tentativo di vedere l’invisibile che siamo, come nel Fotografare l’inconscio.

 

 

Urs Fischer per il Corriere della Sera [La Lettura, Copertina] 

 

In tech we trust   [di Simon Kuper, Financial Times, 7 settembre]  

Il 7 settembre mi era sfuggito (non era domenica….). Un tweet perfetto: “Instead of developing a policy to solve a problem, people now develop an app“. 

 

 

 

 

 

 

 

A ondate successive, sono apparsi nelle piazze e strade romane gli sticker con una foto classica di Jim Jones.

Il Reverendo Jim Jones era stato il fondatore, e poi l’angelo della morte, del People’s Temple, un setta-chiesa californiana suicidatasi con il cianuro il 18 novembre 1978 a Jonestown, la comune creata nel cuore della giungla della Guyana: 908 morti, di cui almeno 200 bambini, più qualche altro sgozzato e suicida nella sede del Tempio a Georgetown.(continua)

E’ sempre il colpevole nei libri di polizieschi [di Mariarosa Mancuso, La Lettura, p. 7] 

La Lettura dedica uno speciale al maggiordomo. Figura futile? No, al contrario, una delle grandi incarnazioni dello straniero interno. Governa la casa ma non le appartiene mai del tutto. E’ un confessore ma anche un testimone. Gli viene delegata la gestione dell’io ma  in un’imtimità anonima che rischia sempre di diventare “traditrice”, di superare cioè il confine del nostro territorio e invaderci

Due luoghi e quattro mani. Ma una sola foto [La Lettura, FUTURAMA di Irene Alison p. 6]

@ecosight è il progetto fotografico di Danny Ghitis e Daniela Zalcman che hanno in comune l’iphone, l’applicazione Image Blender e Instagram, per creare una Dreamy dissonance.

La psiconalisi ai tempi di Skype [di Luciana Sica, la Repubblica, p. 45]

Luciana Sica su La Repubblica segnala Psicoanalisi, identità e internet, a cura di Andrea Marzi. Skype può preservare il setting  meglio dello studio dell’analista? 

Le vie digitali per non essere spiati [di Daniele Salvini, NOVA, p. 14]

Sintesi molto utile dei pochi mezzi a disposizione per preservare il segreto come diritto costitutivo della persona. In agosto chiude Lavabit, il servizio usato da Snowden per proteggere le sue comunicazioni. Il Washington Post riporta tra le alternative un server italiano Autistici/Inventati (A/I), che meriterebbe una donazione già solo per il nome. Per creare invece la propria nuvola privata, NOVA segnala OWNCLOUD. Ce la faremo ad abbandonare la pigrizia criminale che ci condanna a dropbox e alla trasparenza integrale?

Kulusuk, East Greenland. 210 inhabitants, 450 sled dogs, tall icebergs clogging the small harbour.

S., a 6 year old non-Inuit little girl, strolls around with her sister and parents. Nearby, a newborn cries endlessly in a woman’s arms. S.’s mother wonders aloud:  “poor little thing, who knows why he cries so much”. S., thoughtful: “Just born…, he doesn’t know where he is”. The meaning, the adventure, the freedom and the tragedy of socialization condensed into the nutshell of a child’s sentence.

We were born for too long, and we think we know too much about where we are. We depart towards distant lands and exacting last Thules, hoping to know nomore where we are, lost for a short moment, and then we rave about being born again – just for a short moment -, blank slates, travellers with no luggage. At last.

Kulusuk, East Greenland. 210 abitanti, almeno 400 cani da slitta, gli iceberg a ridosso del porticciolo.

S., una bambina di 6 anni, cammina con la sorella e i genitori. Un neonato in braccio ad una donna piange senza tregua. La madre di S. si chiede a voce alta: “poverino, chissà perché piange così”. S., pensosa: “È appena nato e non sa dov’è”. Il senso, l’avventura, la libertà e il dramma della socializzazione condensati in una frase di bambino.

Siamo nati da troppo tempo e pensiamo troppo di sapere dove siamo. Partiamo per terre lontane e verso disagiate ultime Thule perché speriamo di non saper più dove siamo, almeno per un attimo, e dunque – per un attimo – di poter rinascere, tabule rase, viaggiatori finalmente senza bagagli.

Nella Nordic House, all’interno del Municipio di Reykjavik, sul Pond, una potente mostra fotografica presenta 61 volti di partecipanti ai Gay Pride del 2011 e 2012, Nuuk, Groenlandia. Le foto sono di Jurgen Chemnitz, nell’ambito del progetto Gay Greenland. Questa mostra ne è la prima manifestazione su scala mondiale, e la prima rappresentazione forte dell’omosessualità nel Grande Nord che va dagli Inuit alaskani a Nunavik, dalla Groenlandia fino ai confini del mondo Sami.

Sono ritratti in primo piano. Come tutti i ritratti, il volto costruisce la rappresentazione condensata della propria identità psicologica e sociale. (continua)

Il computer contemplativo contro l’ansia da iperconnessi. Software e pratiche per ritrovare la calma. Cosí la mente umana si adatta ai nuovi stress   [di Federica Colonna, La Lettura, p. 7]

Tecniche di meditazione per recuperare la capacità di concentrazione insidiata dall’ansia di email, contatti e ricerche su internet? Non mi convince. Il problema è la scansione del vissuto temporale. Il tempo di internet è senza qualità: un flusso continuo e incessante, senza passato e in cui il futuro cancella il presente. Il nostro tempo deve essere un tempo di memoria, identità e fantasie. Un tempo nostro, scandito dai nostri bisogni, non un tempo fluido e indifferente, spesso eterodiretto da bisogni di altri o da emergenze simulacro. Quali pratiche allora?
Oggi è 1 settembre, da domani ricomincia la vita lavorativa “di emergenza” tiranneggiata dal tempo di internet, Skype e what’s up. Alcuni primi antidoti: messaggio di risposta automatica alle email: “grazie per il vostro messaggio. Risponderò a tutte le vostre email ogni giorno alle 11 e alle 16.”
Oppure dovrei scrivere alle 12 e alle 18? Mi sembra un’enormità temporale, abbandonare senza risposta fino alle 12 e poi fino alle 18. È faticoso recuperare un controllo temporale, è più facile l’orizzonte temporale frammentato e puntiforme del web, riduce scelte e responsabilità.
 

Una storia senza “grandi narrazioni. Un tempo si raccontava il passato per forgiare identità, oggi domina un eterno presente. Qual è il futuro della ricerca? Le opinioni di Paolo Prodi, Lupo, Pescosolido, Sabbatucci    [di Antonio Carioti, La Lettura, p. 8]

Le grandi narrazioni nazionaliste sono in decadenza? In effetti non ci sono mai piaciute. Ma sono possibili una comunità e un’identità senza una grande biografia collettiva condivisa? Come immaginiamo il noi, senza una grande storia?

 

I biscotti più venduti se c’è un uragano. Le informazioni elaborate da algoritmi permettono di anticipare scelte e comportamenti. Così migliorano i servizi: cibo, meteo, salute. Parla Viktor Mayer Schönberger     [di Serena Danna, La Lettura, p. 14]

I big data: strumento di ricerca straordinario, strumento totalitario di controllo  di individui e gruppi, nuova linfa per gli apocalittici e gli integrati. Nella lista dei desideri di Amazon, da acquistare e soprattutto leggere:

Viktor Mayer-Schönberger, Kenneth Cukier, Big Data: A Revolution That Will Transform How We Live, Work, and Think

Viktor Mayer-Schönberger, Delete: The Virtue of Forgetting in the Digital Age

La scena contemporanea approssima a noi mondi lontani. Nel renderceli vicini sollecita il movimento di afferrarli, di farne concretamente parte, di esserne tutt’uno. Rende così inquiete le appartenenze, irrequiete le genti come le idee, le cose come le immagini. Quante aspirazioni, sofferenze, ineguaglianze trasudano dai viaggi contemporanei! Quante illusioni di incontri salvifici vengono in essi riposti.

In cerca di lavoro e benessere, di emozioni ed esperienze, si spostano continuamente lungo l’asse nord sud due differenti viaggiatori dal diverso potere contrattuale e dalla complementare destinazione. Non si incontrano e, se capita, si evitano. Sono l’Emigrante e il Turista.

L’installazione etnografica li rappresenta tutt’uno con il loro immediato contesto, li fissa – a terra spiaggiati – (continua)

New York, 4 dicembre 2011- 3 dicembre 2012, Chelsea

 In fondo alla 22a lo Chelsea Art Museum. Anni fa una mostra di Cristòbal Gabarron, The Body Image. Valeva poco, ma nel negozio all’ingresso vendevano cose insolite, tipo un manualetto ciclostilato per sopravvivere in carcere: come farsi un coltello con un cucchiaio, come evitare gli stupri. Oppure cataloghi e libri che non aveva nessuno.

Ci torniamo. Sono le 5 del pomeriggio. Odore di hamburger e  patatine. Un tizio – un custode? – mangia seduto tra i volumi. Alla cassa sta una ragazza – 25 anni? acne: indifferente, parla al cellulare. Il museo è deserto. Mostra di un tale che non so chi sia – Sam Goodman, Reality and Abstraction. Paintings 1945-1959. Le immagini su un opuscoletto vanno passar la voglia di saperne di più.

Giriamo nello shop. Robe insolite in lingue insolite per un museo d New York: cinese, coreano, tedesco. Sullo scaffale in svendita, un volumetto in tedesco, NO!ART, di tali Boris Lurie e Seymour Krim.(continua)

Un rituale di annullamento del tempo

“Molti ex compagni di scuola mi hanno trovato e contattato, ma al di là delle sommarie informazioni sulle proprie vite odierne, non è successo nulla. Invece dopo qualche settimana una mia carissima amica, con la quale per vari motivi, avevamo interrotto i rapporti otto anni fa, ha trovato attraverso facebook, il coraggio per chiedermi scusa per i suoi errori del passato e riavvicinarsi a me. Penso sia una bella vittoria per un “semplice” sito internet. Io e la mia amica abbiamo ripreso a vederci, abbiamo chiarito le nostre incomprensioni e ci confidiamo nuovamente, come otto anni fa. Grazie facebook!”

Migliaia di racconti simili potrebbero essere raccolti tra gli adepti di Facebook. Mi viene in mente il comportamento di un paziente ossessivo descritto in un saggio di molti anni da Elvio Fachinelli, La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo.(continua)

Walt Disney plasma e alimenta l’immaginario contemporaneo sugli animali con la stessa intensità dei bestiari nel medioevo. L’animale, anche il più selvaggio o lontano, diventa umano: ama, odia, soffre, gioisce, soprattutto parla, è portatore di una lezione, di una morale, di un significato, come nei bestiari.

Ma cerca il Re Leone il turista che si avventura in super costosi safari? Oppure vuole e vive un’esperienza diversa? Qual è l’immaginario dell’animale e della wilderness che caratterizza il safari?

Il safari turistico non si distingue molto dal safari di caccia, anche se i due pubblici amano percepirsi e rappresentarsi in modo antitetico e spesso antagonista.(continua)

Tempi difficili per il pene. La sofferenza sociale e il dolore anomico dell’Io cercano nemici da combattere per acquietarsi. Pretesti per esportare l’ansia e tradurla in aggressività contro un potente qualcosa che ci vuole distruggere. E di mezzo ci va spesso proprio lui, il “fragile stelo di carne”, parola di Simone de Beauvoir nel Secondo sesso.

Un pretesto sempre a portata di mano è la malattia. (continua)

Il 27 giugno scorso, il Tribunale di Colonia ha stabilito che la circoncisione di un minore per motivi religiosi è una lesione corporale a tutti gli effetti, e va vietata. “Il corpo di un bambino viene modificato in modo duraturo e irreversibile con la circoncisione”: una mutilazione ingiustificata razionalmente, inflitta a un soggetto indifeso dalla famiglia e dal gruppo di appartenenza.

La sentenza è ovvia, razionale, conforme alla difesa dei diritti di un soggetto debole, e in particolare del diritto alla integrità corporea. A nessuno dovrebbe esser concesso(continua)

Una famiglia moderna e politicamente corretta. Corpi sempre nudi, porte sempre aperte o tolte via, sincerità totale, trasparenza della pelle e della mente, sesso esplicito e a vista, il panopticon, l’Io casa di vetro.

Il fratello maggiore va all’estero per uno scambio culturale. Lei comincia a ingrassare senza fine.

Anni di analisi. Riesce ad avere un figlio. Continua a combattere con la madre interna che le ordina di dimagrire. Pensa che tutto nasca dal suo rapporto con la madre. Ovviamente non dimagrisce, ma almeno riesce a non ingrassare ancora.

Compra una casa con i soldi della liquidazione del padre. Mentre fanno i lavori, torna a vivere a casa del padre e della madre insieme al bambino e al compagno. Rende la loro vita un inferno per tenerli a distanza in attesa di andarsene.

Odia i soldi che il padre le ha dato. Non vuole il legame del dono. Ne parla per ore. Sono un pegno d’amore.

Di colpo capisce. Quando il fratello è andato via lei è rimasta sola con la madre, e con il padre. Esposta alla violenza del fantasma dell’incesto. Decide, non lo sa ma decide, di farsi grassa e brutta, repellente contro il padre e il proprio desiderio del padre. Senza fine, finché non si esaurirà la forza dell’incesto. Quando lei potrà staccarsi finalmente da quel fantasma di padre non con la messa a distanza delle liti o della repulsione coltivata del suo corpo grasso, ma con una separazione finalmente autentica.

Prosegue la lotta poderosa della Gabanelli Milena contro la puzza dello sterco del demonio. Il suo intervento più recente sulla prima pagina – come da contratto – del Corriere della sera del 15 aprile esprime ormai tutta la potenza visionaria del suo pensiero, che in questo caso è una felice sintesi di testa e di pancia.

Visione salvifica a molti livelli. Disinfettare l’Italia dallo sterco del demonio salverà il paese dalla recessione in atto. Trasformare il denaro nel segno evidente e pubblico – nuova stella gialla – della turpitudine morale e civile dell’evasore permetterà finalmente di distinguere i buoni e i cattivi in modo certo, mentre nella nostra vita quotidiana a volte siamo ancora colpevolmente esitanti. Eliminare il denaro dalla vita quotidiana salverà persino dalla morte: il povero salumiere ucciso il venerdì 13 a Ruvo di Puglia per rapinarlo di 300€ sarebbe ancora vivo se non avesse avuto lo sterco del demonio. Niente sterco niente rapine niente morte.(continua)

Nel 2004, B. V., 4 anni, effettua a Savona la vaccinazione antipolio. Secondo i genitori poche ore dopo già comincia a manifestare i sintomi dell’autismo. Nei giorni e negli anni successivi l’autismo esplode, fino al riconoscimento di una invalidità totale.

I genitori ritengono che il vaccino sia stato la causa della sindrome autistica e avviano una lunga azione giudiziaria contro il Ministero della sanità. Una commissione di esperti respinge l’ipotesi. I genitori proseguono, e finalmente capitano sul giudice giusto, Marco Gelonesi, del Tribunale del Lavoro di Genova. Il giudice ha stabilito che esiste una nesso di causalità, e ha condannato il Ministero a corrispondere al giovane un vitalizio di 2.500€.

Bene per i 2.500€: aiuteranno una decente sopravvivenza di B. V. Male l’oscurantismo antiscientifico di cui la sentenza è espressione.(continua)

Francese, 50 anni. All’ex-marito nasce una bambina. La odia. Ricorda il proprio fratello cerebroleso, figlio di primo letto del padre che la ha ignorata. A 13 anni la madre sfatta le ruba i vestiti per rubarle il corpo. Associa e racconta: il padre le leggeva sempre un racconto di Alphonse Daudet nelle Lettres de mon moulin, su un bambino che nasce con il cervello d’oro, e i genitori con una cannuccia glielo succhiano via per arricchirsi. Dorato furto d’anima d’oro.

 Il 1 febbraio scorso, sul Corriere della sera, Giovanni Bianconi pubblica un articolo su un tal M. B., ex BR ora professore associato, che ha chiesto per vie legali all’archivio Flamini di rendere inaccessibile on line il riferimento al suo passato in nome del diritto all’oblio ( http://bit.ly/w2bnow ). 

Mi chiedo il perché di quelle iniziali, cerco un attimo e trovo tutto quello che mi serve sulla vicenda di Marcello Basili, dell’università di Siena. Scrivo un breve post su quella richiesta, e sul problema del rapporto tra diritto all’oblio, storia, memoria sociale e archivi.

Il 3 febbraio un tal Curiosamente curioso mi chiede nel commento. ” Ma a te il nome chi te lo ha dato?“.

Sono sorpreso da questa frase sibillina.(continua)

Anni fa Marcello Basili, capace di intendere e di volere, manovale delle BR, gambizzò a Roma, mi pare di ricordare con altri, il segretario della sezione DC di San Basilio, tal Domenico Gallucci. Basili si pentì, si dissociò, denunciò ampiamente i compagni, insomma fece tutto il necessario per cavarsela al meglio con meno carcere possibile. Era un perfetto aspirante intellettuale.
Ora il prof. Marcello Basili è associato di Economia Politica a Siena.
Un articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della sera del 1 febbraio (http://bit.ly/w2bnow), senza mai andare oltre un misterioso M. B., ci racconta che Basili ha chiesto all’Archivio Flamigni la cancellazione del proprio nome (continua)

Quando ha iniziato le pubblicazioni, Il Fatto Quotidiano ci ha fatto sperare. A distanza di 2 anni, prendiamo atto che è solo uno dei poli più attivi della produzione italiana di paranoia sociale e politica. Redditizia, ma pur sempre paranoia.

28 gennaio. Blog di un tale Pino Corrias, dirigente RAI. Invoca la caccia alle streghe, evoca (che originale!) SUV e volpi argentate, chiede le gogne pubbliche, proclama la bontà della trasparenza totale dell’individuo di fronte al potere e allo Stato, esige più galera e la rieducazione coattiva, e se la prende prevedibilmente con gli Gnomi di Lugano e con gli Shylock banchieri di casa nostra. Ma anche, più misteriosamente, con Freud e confratelli. (continua)

L’impossibilità di dimenticare generata dal Web e dagli archivi elettronici non riguarda solo le vite personali. Alle nostre identità è concesso sempre meno il sollievo dell’oblio e della palingenesi verso un altro sé o un altro nome. Lo stesso però vale per altre attività umane, ad es. l’attività scientifica e la scrittura.

È Serena Danna a porci il problema con un bell’articolo nell’inserto La Lettura del Corriere della sera del 22 gennaio (http://lettura.corriere.it/sappiamo-tutto-capiamo-poco/). Il punto di partenza è un saggio piuttosto superficiale di David Weinberger, tipico prodotto di filosofia-spettacolo, che per fortuna la Danna usa solo come pretesto.

Come si può ancora pensare, o scrivere, o asserire qualcosa quando si è immersi nel flusso dell’overload informativo?(continua)

Per mia colpa visto solo ieri lo spot di Palazzo Chigi (Governo Berlusconi) contro l’Evasore Fiscale.

In breve: è ripugnante, ha le orecchie a punta (spook/Captain Spock), sporco, barba non fatta, puzza, sguardo obliquo, torvo, violento, arrogante, fronte bassa, basettone coatto/sottoproletario, brevilineo, grassottello. Localizzazione: il Casertano, lo hinterland di Napoli. Scuola dell’obbligo o diploma. Parla il dialetto. Camorrista.

Suggerimenti per il prossimo: severo, dignitoso, elegante, loden, fronte alta, pulito, occhiali da intellettuale, biondo, occhi chiari e trasparenti, sguardo tranquillo,magro, sobriamente bello, longilineo. Localizzazione:  area subalpina, Lombardia, Piemonte, Veneto. Usa il congiuntivo. Laurea. Parla l’inglese. Manager.

Alla Presidenza del Consiglio non hanno mai sentito parlare della criminalità dei colletti bianchi (del Nord).


 

Corriere della sera, 19 gennaio 2012

Monti ha dichiarato alla Radio Vaticana che “gli evasori fiscali offrono pane avvelenato ai loro figli”. 

Era ora che lo dicesse. Finalmente viene rotta la collusione familiare, l’omertà di sangue che protegge l’Evasore Fiscale dall’occhio potente dello Stato. Finalmente i figli sanno che i loro padri Evasori li stanno uccidendo piano piano, con il pane quotidiano (eh Padre Nostro…). (continua)

Palazzo delle Esposizioni, 7 gennaio. Sole stupendo fuori.

Dentro, due mostre sull’URSS in contemporanea: Realismi socialisti. Grande pittura sovietica 1920-1970, e Aleksandr Rodčenko.

Bel contrappunto: ottima mostra di prevalente ciarpame artistico, la prima; e pessima ambigua mostra di alcune belle cose, la seconda.

Realismi socialisti è la storia estetica di un disastro storico-politico: in questo senso, autentico realismo suo malgrado.(continua)

50 anni. Donna. Lotta a ondate di ormoni contro la menopausa per mantenere le mestruazioni. 

Sogno.

Un uomo e una donna nudi immobili indifferenti. Dai loro corpi partono due tubi. Passano attraverso un termosifone e arrivano a un ano che è anche un capezzolo, dal quale esce latte. Latte morto.

Lunedì 5 dicembre. A dover pronunciare la parola “sacrificio”, la Ministra al Lavoro Elsa Fornero, ex Vice Presidente di Intesa Sanpaolo, è scoppiata a piangere. E’ toccato dirla al virile Presidente del Consiglio Monti.

Le crisi gravi suscitano regressioni arcaiche. All’inizio di Novembre è tornato in giro, in effige, il cadavere del Milite Ignoto. Ora la sofferenza sociale e umana del Paese ha trovato una Mater dolorosa, che soffre per tutti noi suoi figli: non decisore, ma vittima anche lei. O anche una Madonna piangente lacrime di sangue, come ce ne sono tante in Italia. Lacrime e sangue: Churchill in chiave gender e da manovra finanziaria, dal patriarcato guerriero al maternage piangente. A quando le nuove Madonne Pellegrine adatte alle nuove congiunture?

La Repubblica, 1 Ottobre 2010

New York, 3 novembre 2011. 

Zuccotti Park

Ray Kachel arriva allo Zuccotti Park da Seattle. Ha  53 anni. Da 3  anni non lavora più. Progressivamente ha venduto tutto: i 3 Mac, la collezione di 1000 film, Final Cut Pro che gli serviva per il suo lavoro da montatore. Gli rimane solo il telefono per tweettare, e 300 dollari. Sente parlare di Zuccotti Park, decide di partire. 240 $ per il biglietto Seattle-New York in Greyhound. (continua)

La fine di un carisma è sempre anche la fine di un corpo. Liberarsi da Berlusconi significa anche liberarsi dal suo corpo. Il capo carismatico costruisce un vincolo di carne con i suoi seguaci, si offre come significante corporeo del vincolo politico e sociale che fonda. In attesa delle dimissioni, uno striscione a Montecitorio recitava “Piazzale Loreto”. Ed ogni leader carismatico esige per la sua fine una “piazzale Loreto”  simbolica come ultimo appuntamento con il carisma, come rituale di disincarnazione del noi dal corpo del carisma, cerimonia di degradazione che vuole essere liberazione da un fascino che ha incantato e incatenato. (continua)

Corriere della sera, 25 novembre.

Capi si nasce. Gabanelli è chiaramente nata capa. Entrata alla grande nel Club dei Paranoici, sgomita per salire. Ha le due cose che servono: lo stile paranoideo, e l’idea fissa ripetuta senza requie, tipo i “comunisti” di Berlusconi. Ma lei ha una marcia in più: è colta, ha letto Lutero, i soldi sono lo sterco del demonio, e a lei la puzza non piace, meglio la plastica delle carte di credito.(continua)

Prima pagina del Corriere della sera del 13 novembre. La Gabanelli Milena pubblica la sua soluzione per il deficit italiano: rendere interamente tracciabili tutti i passaggi di denaro nel nostro paese, e tassare i pagamenti in denaro liquido (dato che la Costituzione impedisce di abolirlo del tutto). In questo modo gli Italiani saranno costretti ad usare le carte di credito, si stanerà l’Evasore e si salverà il paese.(continua)

Gabriel García Márquez ha scritto, con L’autunno del patriarca, una delle più potenti rappresentazioni narrative delle logiche, delle grandezze e delle molte miserie del potere carismatico, apparentemente in salsa sudamericana. Poi un giorno il dittatore muore, e c’è la chiusa bellissima del libro: “… perché noi sapevamo chi eravamo mentre lui restò senza saperlo per sempre col dolce sibilo della sua ernia di morto vecchio, troncato di netto dalla stangata della morte,(continua)

Una società disgregata e carica di rancore recupera riti primitivi per ridarsi un sembiante di coesione.  

Il 29 ottobre un treno è partito da Aquileia ripetendo il percorso che nel 1921 aveva portato a Roma il cadavere anonimo di un soldato per seppellirlo nel monumento di Piazza Venezia.  Novanta anni prima sul treno c’erano i resti irriconoscibili di un corpo vero. Ora c’è solo una riproduzione del vagone funerario di allora più qualche oggetto di contorno e un altro paio di vagoni con una mostra.(continua)

Ogni Sovrano auspica la trasparenza totale dei sudditi. Ogni suddito dovrebbe aspirare alla trasparenza totale del Sovrano. Il potere non abbia segreti, l’individuo goda del massimo di segreto possibile. Di fronte alla onnipotenza tendenziale del potere, al cittadino non rimane che difendere con la massima energia il suo diritto/dovere a nascondersi. L’impenetrabilità degli Arcana imperii caratterizza il dominio sociale totale,(continua)

Le prime righe funzionano. Prospero constata che Berlusconi è “il più importante politico della Seconda Repubblica”. Studiare la sua comunicazione “può contribuire a cogliere alcune regolarità della politica postdemocratica al di là di comode semplificazioni”. La categoria di “politica postdemocratica” non si capisce cosa voglia dire ma mette curiosità. La rinuncia alle “comode semplificazioni”  apre alla speranza.

Qualche altra riga, e la speranza se ne va. Il primo segnale è la scrittura. Siamo tra Bouvard et Pécuchet e il Dictionnaire des idées réçues applicato allo stile. Digramma dopo digramma, il banale e il prevedibile da piccola borghesia al liceo classico. (continua)

Dopo più di 40 anni è possibile vedere di nuovo Privilege di Peter Watkins. Uscito in Inghilterra nel 1967,  ebbe vita brevissima nelle sale cinematografiche, e da decenni giravano solo edizioni pirata in vhs, di pessima qualità visiva e sonora.

Il film racconta l’intreccio tra potere, costruzione del consenso, star system e musica pop. Il potere è un’Inghilterra bipartisan dove Laburisti e Conservatori governano insieme, senza opposizione alcuna.(continua)

Pensieri degni di Pasqua.

Il 21 marzo scorso, in Piazza San Giovanni a Roma, Berlusconi promette che sconfiggerà il cancro. Sembra solo un’altra manifestazione di megalomania paranoidea, per di più offensiva verso la sofferenza reale di milioni di persone nel nostro paese. Ma questa lettura è superficiale. Nell’affermazione di Berlusconi c’è tutta la logica profonda della leadership carismatica, che è una logica politica.(continua)

Per sua grandezza e nostro sfortuna Carlo Galli – mi si dice: docente di Storia delle Dottrine politiche a Bologna – non smette di pensare.

In un ovviamente pensoso articolo (“Se l’avversario torna nemico”, Repubblica, 2 luglio), si avventura sul terreno scivoloso della coppia amico/nemico dello ovviamente “inquietante” Carl Schmitt, e sull’ancora più scivolosa trasformazione paranoica dell’avversario politico in Nemico interno.(continua)

Le conversazioni sociali hanno pochi dubbi. Noemi e Papi hanno fatto cose. A Villa Certosa ci sono state le orge. Berlusconi si rimedia le giovanette e ha l’harem. Ecc.

La cosa strana è che ci credono anche quelli che dichiarano di non crederci. Dicono: non c’è nessuna prova, le foto dei tanga cellulitici di Villa Certosa sono roba da suore orsoline rispetto alle spiagge nazional-popolari di Rimini o  Coccia di morto.(continua)

La vicenda Noemi-Papi-Veronica-Villa Certosa-La Repubblica ecc ecc è una ennesima dimostrazione del confine labile tra politica e folie à plusieurs, tra costruzione del consenso e pensiero paranoico, tra immaginario sociale e ideologia. Troppo banale per perderci il tempo di una analisi sistematica.

Qualche domanda vale lo stesso la pena. La prima qui, le altre verranno.(continua)

Storie di trasparenza. La madre di un paziente che anche quando stava al gabinetto teneva la porta aperta per non perdere mai di vista i corridoi sul quale davano tutte le stanze della casa: del tutto visibile per poter vedere sempre tutto.

Oppure. La famiglia di una giovane paziente che vive in una casa senza porte. Tutti sempre nudi e senza la seconda pelle dei vestiti. Tutti sotto gli occhi di tutti in ogni atto. La vita intima del corpo come fatto pubblico. (continua)

Su La Repubblica del 3 aprile, la solita rozza paura del carisma (di Berlusconi). Tocca a Carlo Galli officiare lo stereotipo. Il punctum è l’attacco di Berlusconi alle forme della democrazia italiana del dopoguerra. Lo strumento dell’attacco è il corpo del capo, cioè il modesto involucro carnale di Berlusconi, scagliato contro il “corpo politico sovrano” della democrazia parlamentare italiana.(continua)

Come ha scritto Max Weber, il leader carismatico deve dimostrare continuamente che la potenza del carisma sta ancora in lui, e che è ancora il portatore di doni straordinari.

Nei periodi di crisi, questa dimostrazione è al tempo stesso più difficile e più necessaria. Quando la realtà non aiuta, occorre un sovrappiù di immaginario, e bisogna tirare in ballo le forme più primitive della potenza, quelle legate al corpo e alla sessualità.(continua)

Un corpo quasi morto da 17 anni scatena uno scontro politico-istituzionale senza precedenti negli ultimi anni. Le massime autorità dello Stato entrano in un conflitto frontale. La Costituzione, cioè il documento che fonda il contratto sociale della Repubblica, viene messa in dubbio. Il sistema politico si schiera  intorno alla dicotomia vita vs morte. Le grandi mani armate del potere assediano un quasi cadavere e il padre, relegati in una terra di confine.(continua)

Anche si pretende illuminato e progressista, il populismo non può fare a meno di cavalcare la paranoia.

Obama ha fatto propria la tesi di una epidemia di autismo collegata al vaccino MMR, quello contro il morbillo, gli orecchioni e la rosolia. Per  esempio il 21 aprile dell’anno scorso, durante la campagna per la nomination contro Hillary Clinton, ha dichiarato: ” Abbiamo appena avuto una esplosione del tasso di autismo. Qualcuno pensa che sia collegata ai vaccini. Finora la scienza non ha dato una risposta conclusiva, ma io penso che occorra indagare la cosa a fondo”.(continua)

Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna

 

De Chirico che copia: Raffaello, Tiziano, Michelangelo, Duerer, Fragonard, Reni, Van Dyck, Delacroix, Ingres, Veronese, Velasquez, e se stesso. Poteva essere una occasione buona per riprendere il problema della imitazione e dell’Autore, un ritorno intelligente alla Querelle des Anciens et des Modernes. Niente di tutto questo.(continua)

L’incontro dei bloggaroli italici con l’autoelettosi mozillone-capo di Telecom Italia è stato il momento della verità della blogfest. Al di là delle chiacchiere che sono girate, s’è vista all’opera la solita vecchia bestia: i (mezzi) intellettuali di corte in atto di omaggio al (mezzo) potere di un (mezzo) potente di un ex-grande gruppo, in una coreografia adatta a preservare lui e loro da qualsiasi rischio di verità. Scena antica, che ha imbarazzato pochissimi: non ex-baby-face Bernabé, non gli organizzatori, non la maggior parte dei bloggaroli ivi riuniti a rimirare l’ombra del potere che finalmente si accorge di loro. (continua)

 

Lo pretende Karl Popper, in qualche paginetta di Conjectures and Refutations. “La teoria sociale della cospirazione non è altro che una forma di […] teismo, di una fede in divinità i cui capricci e desideri governano ogni cosa. Deriva dall’abbandono di Dio e dalla conseguente domanda: Chi c’è al suo posto? Questo posto viene quindi occupato da vari uomini e gruppi di potere, sinistri gruppi di pressione sui quali deve ricadere la colpa di aver progettato la Grande Depressione e tutti i mali di cui soffriamo”. (continua)